Anni fa, assistei a Londra a un minimusical sulla vita dei Beatles. Non si dimenticava il loro debutto internazionale allo «Star Club» di Amburgo, nel frattempo raso al suolo. Gli anseatici visti dagli inglesi indossavano i tradizionali calzoncini di cuoio alla bavarese. E Monaco è più distante in linea aerea, e per costumi e mentalità, di quanta sia Londra da Amburgo, dove il dialetto e per buona parte inglese.
Ad Amburgo andai invece a una rappresentazione della Castalda di Goldoni. La villa veneta si era trasformata in una fattoria calabrese, e i personaggi goldoniani vestiti da siciliani si rincorrevano fra i fichi d’India. Niente di scandaloso né di sorprendente. Per gli italiani, il tedesco tipico canta jodel, beve birra e saltella in Lederhosen che gli scoprono ginocchia ossute e polpacci pelosi.
Per i tedeschi, l’italiano ha i baffi, ed è un virtuoso nel cantare ’O Sole mio e nell’ingozzarsi di spaghetti allo stesso tempo senza morire soffocato o stonare. II tedesco vista da noi ha un santino di Hitler sotto il materasso, e l’italiano vista da Amburgo fa il tifo per la Juve e gioca per la mafia, organizzazione perfetta, gerarchicamente ordinata, con un solo capo sulla vetta. Per paradosso, secondo i tedeschi l’unica cosa funzionante in Italia dovrebbe essere proprio la mafia, gestita come gli italiani si immaginano che venga diretta la Germania. Pregiudizi speculari.
I rapporti tra i rispettivi mezzi d’informazione possono essere sintetizzati in: «Tedeschi tutti nazisti, italiani tutti mafiosi». E se loro fossero più «mafiosi» di quanta sospettano, e non solo per colpa degli ospiti stranieri, e noi più sensibili al passato di quanta vogliamo ammettere?
Le vacanze nella Penisola e il «contagio» di oltre mezzo milione di emigrati hanno probabilmente influito nel cambiare in meglio la nostra immagine. Non ho prove, ma sono convinto che vi abbia contribuito anche l’atteggiamento responsabile della stampa e della TV tedesca nel riportare i fatti di casa nostra, salvo le inevitabili eccezioni. Lo sfacelo di Tangentopoli e la fine dei grandi partiti sono stati visti sempre (o quasi) in chiave positiva. Da tempo i tedeschi avevano imparato a distinguere tra la nostra classe politica e il resto del Paese. Che i politici nostrani fossero corrotti è stata una sorpresa solo per noi, in apparenza. Loro hanno invece lodato la nostra capacita di far pulizia, in fretta, senza disordine.
E noi? Alcuni giornalisti stranieri in Germania, non solo gli italiani, anche francesi, americani, inglesi, hanno il vizio di descrivere Helmut Kohl come un simpatizzante in doppiopetto dei naziskin e denunciare la Bundesbank come una combriccola di ex banchieri di Hitler che si prendono la rivincita triturando con il Deutsche Mark la lira, la sterlina, il franco, la peseta e il dollaro. Sarebbe bello se fosse vero: per risolvere i nostri guai finanziari ed economici basterebbe convincere un Herr Tietmeyer, o chi per lui.
Una volta all’anno, a gennaio, corrispondenti italiani e tedeschi si incontrano a villa Vigoni, una splendida residenza nel magnifico scenario del Lago di Como, che i discendenti di un commerciante tedesco amico di Goethe hanno lasciato in eredita alla Repubblica Federale. Una sorta di terra di nessuno, quindi, dove ci si dovrebbe dire la verità a brutto muso, e chiarire equivoci e malintesi. Ma la cornice e troppo bella per litigare, si finisce col trascorrere un logorroico weekend, e si riparte pronti a dimenticare i buoni propositi. Però, anche se qualche collega non mi perdonerà il «tradimento», devo aggiungere che siamo noi a lasciarci tentare da qualche colpo proibito di troppo.
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