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Ultental, nient’affatto l’ultima valle dell’Alto Adige

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© Mario Entero Ufficio Turistico Val d'Ultimo
© Mario Entero Ufficio Turistico Val d'Ultimo
Langlauf © Gert-Pöder Ufficio Turistico Val d'Ultimo

Langlauf © Gert-Pöder Ufficio Turistico Val d’Ultimo

Alla fine degli Anni ‘70 una allora quasi sconosciuta valle altoatesina, la Val d’Ultimo – denominazione originaria tedesca Ultental – divenne improvvisamente famosa al di là delle sue bellezze naturali: un cuoco piemontese che tra quelle montagne si era trasferito per caso, quasi per scommessa aprì un piccolo ristorante. Il cuoco si chiamava Giancarlo Godio, il ristorante “Genziana”. Una semplice baracca che aveva fatto parte di un insediamento di operai addetti alla costruzione della grande diga che formò il lago artificiale di Fontana Bianca, si trasformò in poco tempo in un tempio della cucina diventato famoso tra i gourmet di tutta Italia e non solo. I clienti più facoltosi atterravano con l’elicottero ai quasi 2.000 metri d’altezza del ristorante. Praticamente ai piedi del massiccio dell’Ortles, oggi nel Parco Nazionale dello Stelvio. Nel 1978 la “Genziana” e Godio ottennero la Stella Michelin: primo ristorante in tutto l’Alto Adige a potersi fregiare del prestigioso riconoscimento. La bella storia della “Genziana” finì tragicamente nel 1994 quando Giancarlo Godio perse la vita in un incidente aereo.

© Degl'Innocenti

© Degl’Innocenti

La “Genziana” non c’è più, ma la Val d’Ultimo resta uno dei luoghi più belli e unici delle montagne altoatesine. E non soltanto. Da scoprire, per chi non la conosce, soprattutto adesso che le vacanze invernali sono finalmente di nuovo possibili, pur con tutti i limiti e le cautele del caso. Vacanze sulla neve, che qui d’inverno non manca mai. E agli sciatori si offre il soleggiato comprensorio della Schwemmalm, con le sue belle, lunghe, piste ma senza la confusione di tante altre località più rinomate. Vi si sale con una comoda telecabina al cui parcheggio si trova persino una colonnina per la ricarica delle auto elettriche! Naturalmente, lungo la valle ci sono anche piste per gli appassionati di sci da fondo, perfettamente tracciate.

L'hotel Arnstein © Schwienbacher

L’hotel Arnstein © Schwienbacher

Ma non si deve soltanto sciare per godere la Val d’Ultimo. Noi italiani pensiamo che il nome stia proprio ad indicare il fatto che la valle sia di per sé remota ed isolata: forse pensava così anche il senatore Ettore Tolomei, incaricato da Mussolini negli Anni Trenta di provvedere alla forzata traduzione nella nostra lingua di tutti i toponimi tedeschi dell’Alto Adige. In effetti l’origine del nome Ulten – donde la traduzione decisamente per assonanza – è incerta. La valle è lunga circa 40 km. Provenendo da Bolzano sulla superstrada verso Merano si apre dalla Val d’Adige verso Occidente in corrispondenza dell’abitato di Lana. La strada che la percorre si inerpica rapidamente con numerosi tornanti lungo il tumultuoso corso del torrente Valsura (in tedesco Falschauer) interrotto da tre grandi dighe che formano altrettanti laghi artificiali. Ma già dopo poco più di una dozzina di chilometri di salita ripida la valle si distende più ampia in una sorta di falsopiano, pur sempre sormontata da due ripidi versanti ammantati di boschi e prati, fino al suo termine naturale, la giogaia dell’Ortles con i 3.442 metri della Cima

© Degl'Innocenti

© Degl’Innocenti

Sternai, sovrastante il lago artificiale di Fontana Bianca. Forse proprio perché è una valle chiusa, pur relativamente vicina alla sottostante popolosa ed estremamente antropizzata conca dell’Adige, la Val d’Ultimo ha mantenuto la sua principale caratteristica: cinque piccoli paesini dei quali quattro riuniti in un solo comune con un totale circa 3.000 abitanti (Ulten/Ultimo) che si incontrano l’uno dopo l’altro a partire dai 1.200 metri di St. Pankratz/San Pancrazio – oggi comune a se stante – ai 1.500 di St.Gertraud/Santa Geltrude, passando per St.Walburg/Santa Valburga, Kuppelwies/Pracupola e St. Nikolaus/San Nicolò.

Piccoli agglomerati con le loro case dalle mura bianche, sormontate dalle tipiche strutture in legno. Molte sono assai antiche, come pluricentenari sono numerosi masi (case coloniche) contadini, anch’essi in legno, arrampicati sugli scoscesi pendii verdi dei due versanti della valle, soprattutto su quello esposto a Sud, più soleggiato. Già di per loro conto queste costruzioni costituiscono un’attrazione: molti masi sono anche aperti al turismo sostenibile. Niente edifici che stonano con la bellezza naturale dell’ambiente, neppure l’albergo più grande della zona, al centro della valle, realizzato con grande profusione di legno.

Già detto delle possibilità offerte in inverno agli sciatori, anche l’estate permette agli ospiti una grande varietà di itinerari escursionistici, dai più tranquilli ai più impegnativi.

David Schwienbacher © Schwienbacher

David Schwienbacher © Schwienbacher

E per chi cerca la buona tavola c’è quello che può essere a ragione considerato l’“erede” del grande Godio: David Schwienbacher. Nella cucina del suo piccolo, delizioso albergo Arnstein, nel pittoresco paesino di Santa Geltrude, arrampicato alle falde di un ripido pendio proprio alla fine della valle, questo simpatico chef locale offre un menu gustosissimo, con sapienti proposte collegate alla tradizione, ma reinterpretate in modo davvero originale ed ingredienti locali il tutto in un ambiente semplice, ma caldo ed accogliente. Anche rinunciando all’elicottero, vale proprio la pena di arrivare fin quassù per gustare una cena davvero ad eccelsi livelli. Ma senza patemi al momento del conto.

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nato a Perugia nel 1948 ha la Germania come sua seconda Patria. Oltre a quella italiana, possiede anche la cittadinanza tedesca. Proprio in Germania, nella redazione italiana del Deutschlanfunk di Colonia (radio nazionale tedesca) è decollata la sua lunga carriera di giornalista professionista. Dopo essere stato capo ufficio stampa del Gruppo Fiat a Francoforte ed a Londra e successivamente dell’Italdesign-Giugiaro di Moncalieri (Torino), dal 1999 è tornato a vivere stabilmente in Germania, Ė stato a lungo corrispondente della Gazzetta dello Sport, per la quale, oltre ad occuparsi di calcio, ha seguito regolarmente la F.1 su tutti i circuiti del mondo. Attualmente collabora con varie testate italiane.

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