È iniziato tutto il pomeriggio del 25 marzo. Sui social media, i titoli dei principali media come “Repubblica” e “il Messaggero” hanno lampeggiato “L’incredibile attacco della Germania” (Der unglaubliche Angriff Deutschlands). Perplessa, ho alzato lo sguardo dal mio lavoro. Cosa diavolo era successo?
Per la seconda volta, nel giorno dell’Annunciazione di Maria e del Capodanno fiorentino, si celebrava il “Dantedì”. Il poeta nazionale italiano, di cui quest’anno ricorre anche il 700° anniversario della morte, è stato celebrato per tutto lo Stivale. Dopo che i fiorentini avevano bandito il poeta – a posteriori una decisione sbagliata piuttosto imbarazzante – la sua morte era purtroppo avvenuta a Ravenna, e i ravennati difesero per tutti i secoli, contro papi medicei e barbari tedeschi, le spoglie di Dante con artigli e denti (questi ultimi dovrebbero essere riferiti ai ravennati). Per giorni, dunque, in questo Paese, tra le dolci colline toscane, i forieri di decine di eventi online come letture, seminari “Zoom” e video hanno anche dolcemente spinto un po’ in disparte la costante attenzione mediatica dal fuoco sul Coronavirus.
Così in questo giovedì in questione, tutto vibrava con riverenza e consacrazione e pronto a rendere il dovuto omaggio al più alto, al migliore e quasi unico. Anche la marca di birra biellese Menabrea aveva creato un’etichetta Dante, per cui non importava se il target del prodotto fosse compatibile con il genio evocato. Esistevano dopo tutto, i veri valori al di là della ragion d’essere del mercato. Liberamente basato su Goethe, la “Corona d’Italia” (Dante, Petrarca e Boccaccio sono indicati come le “tre corone d’Italia”) ha attirato tutto.
Ma torniamo al pomeriggio in questione. Un giornalista affermato, cofondatore del “Taz” e traduttore di grandi intellettuali come Eco e Malaparte di nome Arno – forse un presagio? – Widmann aveva scritto un articolo su Dante nel “Frankfurter Rundschau” in occasione della festività. In esso ha delineato un panorama stravagante dalla nascita della lingua italiana e della “Commedia” al senso religioso della missione e all’ego espansivo di Dante. Per farla breve, è un po’ rischioso scrivere articoli con un numero limitato di caratteri su un’icona straniera per lettori con conoscenze limitate. Soprattutto se il suo nome è Dante.
Bisogna diffidare del fatto che il grande toscano è una questione politica almeno dal XIX secolo e dall’unità d’Italia. La “Repubblica”, “il Messaggero”, vari giornali regionali e Giorgia Meloni della destra (FdI) hanno subito iniziato a dire che “i tedeschi” avrebbero dipinto Dante come “un arrivista” e la “Commedia” come “un plagio”. Dopo di che, non c’è stato modo di fermare la rete, con meme e commenti che aumentavano di minuto in minuto, dai vari gol della Coppa del Mondo ai riferimenti all’Impero Romano. Per come si stava svolgendo il pomeriggio, mi aspettavo già che l’Ambasciatore sarebbe stato chiamato di lì a poco. Ho cercato l’articolo di Widmann e l’ho letto – e poi l’ho riletto. Tuttavia, ho trovato poco delle cose scandalose di cui era stato accusato, ma piuttosto rispetto e considerazione per la realizzazione del poeta.
Ma una volta che l’equivoco reciproco è partito al galoppo, è difficile riprenderlo. Una certa sfacciataggine dirompente da parte dei teutoni viene immediatamente interpretata al di là delle Alpi come una dimenticanza della Storia basata sull’invidia. D’altra parte, lo sguardo italico fisso ai tempi eroici cementa facilmente i vecchi schemi, con l’apprezzamento critico che non di rado cade nel dimenticatoio. Ricordiamo come Ugo Foscolo, nel carme “Dei Sepolcri”, criticò Napoleone per aver privato gli italiani della meditazione sulle virtù dei loro antenati, vietando i cimiteri dai centri cittadini. Le critiche al glorioso passato scuotono ogni volta gli italiani nel profondo.
Il caso “Dantedì”, tuttavia, ha anche rivelato le varie strategie di uscita dal dilemma. Il ministro della Cultura italiano Dario Franceschini ha reagito nel modo più intelligente con una tersa citazione di Dante via Twitter: “Non ragioniam di loro, ma guarda e passa” (Inferno III, 51). Per la coppia di scrittori italiani Monaldi e Sorti, il modello involontario di Widmann è arrivato giusto in tempo per promuovere il loro libro recentemente pubblicato su Dante e Shakespeare. Tuttavia, il direttore tedesco degli Uffizi Eike Schmidt ha sferrato il colpo più mirato sotto la cintura del suo compatriota, quando lo ha accusato di avere una “vena polemica” e una presunta vicinanza alle “teorie del complotto”.
Ma almeno l’articolo di Widmann ha ottenuto che il poeta fiorentino fosse sulla bocca di tutti nel suo giorno d’onore, e questo non è male dopo 700 anni. Chissà, forse a qualcuno è venuta la voglia di sfogliare la “Commedia” e vedere da soli se T. S. Eliot aveva ragione quando affermava che Dante era facile da leggere?
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