FRAU MONIKA, AVVERTA ANCHE ME
Non mi sono mai accorto di uno sciopero tedesco. Eppure ce ne sono stati. Me ne rendo conto il giorno dopo quando leggo i giornali: «Sciopero di avvertimento dei dipendenti pubblici», o dei bancari, dei postini: di questi dovrei accorgermi, mentre mi possono sfuggire le lotte dei metalmeccanici e dei minatori della Ruhr, aristocrazia della classe operaia.
Ho visto anche gli scioperanti, ma in televisione. Indossano vistosi gilet di plastica arancione annodati sulle spalle come enormi bavaglini e la scritta Wir sind im Streik, «Siamo in sciopero». Sorridono alle telecamere con soddisfatto imbarazzo, bambini sorpresi a pasticciare nelle pozzanghere.
Perché lo sciopero spaventa l’opinione pubblica. Così si è escogitato il Warnstreik, lo «sciopero d’avvertimento»: si sciopera cercando di dare il minimo fastidio possibile, anzi di passare il più possibile inosservati, tranne al datore di lavoro, lo Stato, un privato, che viene avvertito: Siamo in sciopero, d’avvertimento, beninteso, ma domani potremmo fare sul serio.
La procedura è estremamente laboriosa. Prima s’incontrano le parti. Da noi, si chiede il 100 per cento, e la risposta è il 2. Lo sciopero è inevitabile. Anzi, si parte dallo sciopero tanto per scaldarsi un po’ e poi si discute. Qui, i sindacati chiedono il 4 e i datori di lavoro offrono 3. Ma si è assolutamente irremovibili. Cominciano gli scioperi d’avvertimento. Il «padrone» avvertito mantiene la calma. I sindacati indicono la votazione. Tutti gli iscritti devono dare il loro assenso, ma i «sì» devono essere almeno il 75 per cento. Si deve vincere 3 a 1, per fare un paragone calcistico.
I «sì» sono sempre oltre il 90 per cento. Si sciopera? Ancora no, calma. I leader sindacali ora sono autorizzati a scioperare e hanno una carta in mano per far pressione sulla controparte. I giornali entrano in agitazione: «Siamo tornati a Weimar», l’abisso attende la Germania. I sindacalisti ripresi in diretta dalla TV entrano nella sala delle trattative con l’aria bellicosa di Alberto Sordi nelle sue vecchie pellicole: «Tenetemi, o lo sfracello». La porta si sta per chiudere alle spalle e loro guardano verso l’obiettivo: «Ecché? Nessuno mi tiene?».
La più brava, la più battagliera, il terrore di ministri e di cancellieri, si chiama Monika. Detta Monika la rossa, per via dei capelli tagliati corti come si conviene a una guerriera e oscillanti tra il carminio e l’amaranto, « capo » del sindacato dipendenti pubblici. Frau Monika Wulf-Mathies sfoggia mises pari alla sua grinta, tailleur dagli enormi pied-de-poule bianchi e neri su gonne intonate alle chiome, e annuncia la paralisi del Paese.
Resto sveglio in attesa degli eventi. Lo speaker dell’ultimo telegiornale mi annuncia: «Le trattative continuano nella notte», come il maestro dell’orchestrina a bordo del «Titanic» alza la bacchetta per guidare l’ultimo valzer. E subito dopo parte la sigla di chiusura con l’inno nazionale e la bandiera sventolante, prima del naufragio.
Al mattino, con il make-up immacolato, la gonna senza una piega, Monika la rossa ci conforta: l’iceberg è stato evitato. Per questa volta. Si è giunti all’onorevole compromesso, a metà strada, il 3,5 per cento, che, guarda caso, è identico al tasso d’inflazione. Una gran battaglia per nulla. Ora io rivolgo una preghiera personale a Frau Monika e ai suoi colleghi. La prossima volta, per favore, «avvertano» anche me. Mi facciano provare l’emozione di entrare alla posta e di trovare uno sportello chiuso, di attendere invano l’arrivo dell’autobus, di trovare la cassetta postale vuota. Desidero, anzi pretendo, vivere l’esperienza di uno sciopero tedesco. Almeno una volta nella vita.
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