A Parigi abitavo vicino al cimitero di Montmartré e qualche volta mi recavo innanzi alla tomba del mio poeta preferito Heinrich Heine. Semplice, in seconda fila. Non ero il solo, perché trovavo sempre fiori freschi sulla lapide che portava inciso un suo sonetto: «Dove mai sarò sepolto? Innanzi alle piramidi sotto la sabbia del deserto…, sotto le nevi eterne delle Alpi, in riva al mare…» (cito a memoria). Un amico che avevo trascinato nel mio pellegrinaggio si fece tradurre i versi e scoppiò a ridere: «Non ci ha proprio azzeccato». Il mio Heinrich, gli spiegai, era un umorista. Era da anni malato, inchiodato a letto, e quando compose la poesia sapeva benissimo dove sarebbe finito.
Sono incerto invece per Goethe. L’autore di Faust regalò al figlioletto una ghigliottina in miniatura. Perché? Forse si divertiva lui con il balocco a decapitare soldatini, mentre l’Europa era in preda alla febbre napoleonica, come i genitori d’oggi si dilettano con i trenini elettrici e i videogiochi della prole. Voleva educare il figlio, o farsi beffe della rivoluzione francese?
«Gli inglesi hanno il coraggio di essere illogici, illogici come la vita, illogici come Dio; è la mancanza di humour che ha portato i tedeschi a due guerre. Nelle migliaia di pagine scritte da Thomas Mann non si trova neppure una riga che possa essere giudicata come umoristica all’estero», osserva l’ungherese George Mikes. Si sbaglia, anche se l’umorismo di Mann è ben diverso da quello di Molnar. I suoi diari, ad esempio, sono zeppi di humour nero, però bisogna compiere l’impresa di leggerli.
Esiliato a Pacific Palisades nella Hollywood dei divi, impegnato a scrivere II Doktor Faustus mentre continua la guerra, annota con precisione tutti gli eventi, anche i più minuti: gli articoli che hanno attirato la sua attenzione, le conversazioni a tavola, le difficoltà nel romanzo, e a un tratto, inframmezzate tra le visite dal barbiere, le passeggiate lungo il Pacifico con il cagnolino, e le note precise e insistite sulle sue funzioni intestinali, compaiono le righe: «bombardata Dresda, migliaia di morti».
Insensibile, si commenta, ecco l’algida “distanza del genio. Ma Thomas Mann esegue un doppio bluff. Cioè ci avverte che sta bluffando, e bluffa sul serio. Da premio Nobel sa benissimo che quei suoi diari verranno pubblicati, e i curatori non hanno terminato, impegnati in una minuziosa ricerca, eppure finge il contrario, come se fossero «realmente» notazioni di lavoro, non destinate alla pubblicazione.
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