Il 14 giugno 1837 moriva a Napoli uno dei più grandi poeti, filosofi, scrittori, filologi e glottologi italiani: Giacomo Leopardi. Era nato a Recanati 39 anni prima, dal matrimonio fra il conte Monaldo e sua cugina Adelaide Antici. Giacomo, la cui madre, fervente cattolica fino al parossismo si augurava che i figli le morissero piccoli in modo tale che rimanessero in santità, oltre ad un’educazione conseguentemente rigida e fredda, ebbe la disgrazia di soffrire di una particolare forma di cacosmia, cioè di sentire gli odori invertiti (ciò che per noi odora, per lui puzzava e viceversa), ed era gobbo. Tutto ciò lo rese estremamente infelice, ma anche uno dei più grandi poeti mai esistiti al mondo. Vogliamo ricordarlo con quello che è forse il suo idillio più famoso, L’Infinito.
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Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare. |
Il manoscritto originale |
L’infinito. Voi quale versione preferite? Quella di Vittorio Gassmann, oppure…
quella di Arnoldo Foà?
Che bravi! Costruite tante belle occasioni che non hanno nulla di scontato o di banale. Non ci sono commenti a questa vostra rimembranza? Così è l’Italia, un po’ becera e molto avida di cose stupide. Avere qui portato le tre più belle letture dell’Infinito è una cosa che andrebbe commentata con entusiasmo. Però sappiate che c’è sempre qualcuno che apprezza e che vi stima.