Difficile ritrovare la Berlino che stava dall’altra parte del “Muro”. Dopo l’‘89, si è cercato di cancellare il passato. Scomparso il “Palast der Republik”, al suo posto è stato ricostruita una copia del castello del re di Prussia e poi del Kaiser. Abbattuti gli alberghi, anche lo storico Palast, che ospitava spie giornalisti e diplomatici, vietato ai normali cittadini dell’Est. È rimasta la “Gendarmenmarkt”, la piazza più bella della metropoli, ma è sempre una copia di com’era prima della guerra, rifatta nel 1987. Fedele, o quasi. Lo “Schauspielhaus” era un teatro, è diventato una sala di concerti, perché rifare il palcoscenico avrebbe bloccato la nuova strada aperta nel frattempo dopo i bombardamenti.
Chi vuole ritrovare l’atmosfera di Berlino Est, può andare al “Berliner Ensemble”, il teatro di Bertold Brecht, quando potrà riaprire finita l’emergenza per il Covid, o passeggiare per la Karl-Marx Allée, rimasta com’era. I palazzi in stile moscovita degli Anni Cinquanta sono stati ristrutturati, anche da ditte italiane, ma rispettati.
O salire sulla “Torre della Televisione” nell’Alexanderplatz, orgoglio del regime. Ai vecchi tempi riuscii a andare al ristorante girevole all’ultimo piano, solo perché invitato da un ministro, non ricordo quale. La coda dei visitatori in attesa era sempre lunga un centinaio di metri. E non andai mai al “Café Moskau” sulla Karl-Marx, al numero 34, che, nonostante il nome con una effe, era anche un ristorante. Quando mi trovavo dall’altra parte il lavoro non mi lasciava tempo libero, i suoi 822 posti erano prenotati con settimane di anticipo, e privilegio della nomenklatura. Quando, per procurarsi valuta pregiata, il regime cercò di facilitare il turismo, sia pure con molti limiti, il “Moskau” divenne una tappa obbligata per i viaggi di gruppo.
Lo progettò nel 1961 l’architetto Josef Kaiser, che costruì anche il vicino Kino International, altro simbolo della Berlino Est. Kaiser (1910-1991) era attivo anche durante la Repubblica di Weimar, e poi entrò nel partito nazista. Aveva molti talenti, dopo la guerra, prima di essere riabilitato, divenne tenore all’Opera di Dresda. Il regime comunista dimenticò il suo passato, perché era molto bravo.
Dopo la “Wende”, la svolta, avvenuta con la caduta del “Muro”, il “Moskau”, voluto da capo della DDR Walter Ulbricht, è sopravvissuto alla smania di abbattere i simboli del passato. Ma scomparvero gli arredi interni, i tavolini, le sedie, gli arredi del bar. Peccato. La società Bergruen, che ha rilevato il caffè e restaurato decine di palazzi all’Est, sta per riaprire il “Moskau” al pubblico. La Ostalgie, la nostalgia dell’Est, non è più un peccato, ed ha poco a che vedere con la politica.
Sono state rispettate le vecchie strutture di cemento, e anche la copia dello “Sputnik” che troneggiava sul tetto, un omaggio ai compagni sovietici che nello spazio battevano i capitalisti. Sono stati restaurati i saloni e conservati i vecchi nomi, Leningrad, Riga, Ukraine, Minsk, e il grande mosaico di Bert Heller, “Aus dem Leben der Völker der Sowjetunion”, un omaggio alla vita dei popoli dell’Urss. Chi ricorda com’era trova che il nuovo “Moskau” abbia perso parte del suo charme. Per i giovani sarà una macchina del tempo.
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