Operazione nostalgia dell’ARD, il primo canale pubblico tedesco. Ha messo a disposizione nella sua Mediathek decine di film girati al di là del Muro, nella scomparsa DDR. Gli storici trascurano quasi sempre romanzi e pellicole nei loro saggi, ma per capire gli Anni Cinquanta, non solo in Francia, è più utile “Bonjour tristesse” (1954) della diciottenne Francoise Sagan.
In clausura a causa del Covid, ho ritrovato per caso su Youtube “Domenica d’agosto” girato nel 1950 da Luciano Emmer, tra gli sceneggiatori Cesare Zavattini. Ne sono rimasto affascinato, e ho cercato “Le ragazze di Piazza di Spagna”, sempre di Emmer, dove appare tra Lucia Bosè e Cosetta Greco, come narratore, un sorprendente Giorgio Bassani, e “Le ragazze di San Frediano” di Valerio Zurlini (1955), con Antonio Cifariello, Casanova di borgata.
A quell’epoca ero bambino e andavo a vedere Stanlio e Ollio e i film di cow boys. Ho scoperto che c’era una pompa di benzina quasi ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, e che mariti e fratelli prendevano a schiaffoni mogli e sorelle un po’troppo indipendenti. Per il loro bene, s’intende. Oggi, per i fanatici del politically correct queste pellicole dovrebbero finire al macero, ma descrivere una situazione non significa approvarla. Emmer amava le donne, la sua era una denuncia che sfuggiva alla censura del tempo. Le ragazze madri per la morale del tempo dovevano espiare la colpa, per lui sono vittime degli uomini.
Una lunga divagazione per tornare alla Germania Est. Non sono mai andato al cinema quando mi trovavo dall’altra parte del Muro, non avevo il tempo. Il regime controllava la “DEFA”, la Cinecittà della DDR. I protagonisti delle storie dovevano essere fedeli alla dottrina del partito, ma registi e sceneggiatori cercavano di raccontare la vita quotidiana con realismo. I censori chiudevano un occhio per motivi valutari.
Molti film avevano successo nell’odiato mondo capitalista, e portavano nelle casse dello Stato, dollari e marchi occidentali. Marx vinceva sempre sul consumismo, ma gli spettatori, a Berlino Est, a Lipsia, o a Dresda, non si lasciavano ingannare. L’happy end con la falce e il martello era scontata e falsa, come i finali hollywoodiani dove il bene trionfava sempre contro ogni logica.
Nel 1960, “Der schweigende Stern”, la stella silenziosa, di Kurt Maetzig, ebbe uno straordinario successo perfino negli Stati Uniti, dove giunse in versione ridotta. La denuncia della bomba atomica lanciata su Hiroshima venne tagliata. In “Sterne” (1959), stelle, di Konrad Wolf, un sottoufficiale dell’esercito nazista si innamora e protegge una ragazza ebrea e cerca di salvarla. Il film venne premiato al Festival di Cannes. Nel ‘64, porta sullo schermo “Il cielo diviso” dal romanzo di Christa Wolf, non sua parente, autrice molto critica del regime. Konrad era il fratello minore di Markus Wolf, il capo del controspionaggio della DDR, e godeva di una relativa protezione.
Dopo la fine della DDR, la “DEFA” continuò a produrre ancora qualche film. Avevo dimenticato di averne visto almeno uno, “Coming out” di Heiner Carow, giunto nella sale proprio nell’‘89, l’anno in cui cadde il Muro. Una storia di omosessuali che finalmente possono uscire allo scoperto. Nella DDR erano perseguitati, di fatto non esistevano. Come le prostitute, quelle che lavoravano erano professioniste autorizzate dalla Stasi, il servizio segreto. Ma fino al 1974, gli omosessuali rischiavano una condanna anche nella Germania Ovest.
Il cinema della DDR, nonostante ogni sforzo non era proletario, ma rifletteva una società piccolo borghese, commenta la “Süddeutsche Zeitung”. In “Geliebte weiße Maus”, amato topolino bianco, le ragazze spasimano per un poliziotto, come in “Piazza di Spagna”, la sartina che taglia e cuce abiti da sogno nell’atelier delle sorelle Fontana, si innamora del tassista Marcello Mastroianni. Avevo dimenticato anche che i taxi nella mia infanzia erano in nero e verde, e gli autisti portavano una divisa.
.
.
© per gentile concessione di ItaliaOggi
Commenti