Un festival del cinema per un solo spettatore? A causa del Covid la Berlinale, in programma a febbraio, non si terrà. In primavera si svolgerà forse in forma virtuale per gli addetti ai lavori. I critici riceveranno il link per vedere le pellicole a casa loro? Ma non è la stessa cosa, mancherà il pubblico che a Berlino per dieci giorni riempiva le sale della Capitale. E il futuro è incerto per i festival di Cannes e di Venezia. Non sono un addetto ai lavori, e confesso la mia ignoranza: non sapevo che esistesse un Festival del cinema a Göteborg, in Svezia. Nato nel 1979 è comunque più anziano della Festa del Cinema inventata da Veltroni a Roma nel 2006.
Gli italiani si vantano ancora di avere il primato mondiale della fantasia e della creatività. Basta ricordare la Vespa o la Topolino e, perché no?, il cappuccino, o la pizza almeno nella variante napoletana. Ma oggi? Ci battono in parecchi, anche gli svedesi. Il loro Festival dal 29 gennaio all’8 febbraio si terrà, sia pure simbolicamente, per un solo spettatore, confinato su un’isola disabitata nel Mare del Nord. Un atto simbolico in difesa del cinema. Il prescelto, un normale appassionato di cinema, non un critico, potrà vedersi in assoluta solitudine e sicurezza sessanta film. Anche il virus non ama il clima nel Nordsee in inverno.
Verrà tirato a sorte tra i 2.500 svedesi che si sono candidati, quanti in un passato non lontano trovavano posto in due sale, a Berlino, o a Roma. L’isola di Hammeskär ospita solo un faro, e una baracca in legno che nella bella stagione può ospitare un paio di turisti, che non hanno mai osato tuffarsi in mare. Una vacanza da Robinson con tutti i comfort. Perché quest’idea non è venuta a un italiano? Magari al torinese Carlo Chatrian che dal 2020 dirige la Berlinale?
La “Süddeutsche Zeitung”, su cui leggo la notizia, la commenta citando Federico Fellini: “Un cinema non è altro che il sogno, quello che facciamo appena ci addormentiamo”. E Giuseppe Tornatore e il suo “Nuovo Cinema Paradiso”, titolo che non ha avuto bisogno di traduzione all’estero. Il protagonista, il piccolo Giuseppe, colleziona gli spezzoni di pellicola tagliati, per censurare le scene con un bacio.
È quello che avveniva per i film proiettati al mio “Gonzaga” di Palermo, l’istituto dei gesuiti, che regalavano agli allievi una pellicola al sabato pomeriggio. Spesso si faceva fatica a seguire la trama, perché tagliavano anche le sequenze per loro troppo violente. Ricordo un noiosissimo (per me) “Cielo sopra la palude”, il film di Genina sulla vita di Santa Maria Goretti. Non osarono tagliare, o forse sfuggì, la scena della adolescente Maria che si solleva le gonne per bagnarsi le gambe sulla spiaggia di Sabaudia. Pochi secondi in un sensuale bianconero.
Tutto tornerà come prima dopo la pandemia? Ne sono convinto, o almeno lo spero. Temo però per le sale del cinema. Mia moglie e io in due non soffriamo la solitudine, abbiamo sempre un libro da leggere, o un film da vedere in streaming sul computer. Ma evitiamo le serie che, soprattutto per i gialli, ti obbligano a seguire una storia per sei o otto ore. Perché mai se “Via col vento” dura 220 minuti? Si rischia di guastare il gusto degli spettatori per sempre, che non riusciranno domani ad apprezzare la sintesi filmica, non capiranno la trama. Già prima del Covid, le serie di Netflix avevano messo in crisi in Germania i giornali nell’edizione del weekend: i tedeschi, popolo di lettori, trascurano i romanzi per una serie che ti prende per ore e ore.
All’unico spettatore, che combatterà per tutti gli amanti del cinema visto in una sala, non sarà dato un computer, ma avrà a disposizione un proiettore, uno schermo, e sessanta Cd. E, da non dimenticare, una provvista di pop-corn sufficiente per dieci giorni. “La sala di un cinema può riempire il vuoto e la solitudine della tua vita”, ha detto Pedro Almodovar. Lo spettatore sull’isola di Hammeskär sarà solo e in compagnia di quanti ancora vogliono vedere un film in compagnia di amici e sconosciuti in una sala.
© per gentile concessione di ItaliaOggi
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