HEIMAT E VATERLAND
Oltre a Panzer, Liebe e Krieg, c’è un’altra parola tedesca che gli italiani hanno imparato di recente: Heimat, grazie alle due serie TV di Edgar Reitz, che hanno avvito più successo da noi che in Germania.
Heimath una parola intraducibile, anche se per comodità viene resa con «patria». Lo è, ma non del tutto. E di meno e di più nello stesso tempo.
Tedeschi e italiani hanno qualcosa in comune. Paradossalmente, due Paesi che nella loro storia di ieri hanno conosciuto una sbornia nazionalistica sono uniti da una «mancanza»: da una salda, chiara idea di patria.
Subito dopo la riunificazione, il leader della sinistra socialdemocratica, Oskar Lafontaine, fu piuttosto prudente sulle forme che la solidarietà verso i «ritrovati fratelli dell’Est» avrebbe dovuto prendere. Aveva ragione, ma perse le elezioni. Perfino il compagno di partito, Bjorn Engholm, che è del nordico Schlewig-Holstein, osservò: «Io mi sento più vicino alla gente del Mecklenburg e della Pomerania che agli abitanti della Saar di Oskar». Engholm mi disse che sognava una sorta di federazione dei popoli del Baltico, da Kiel alla Danimarca, fino a Lituania, Estonia, Lettonia. Riga e Danzica sono rimaste città tedesche, nonostante tutto, molto simili a Lubecca o a Rostock.
Un bavarese si sente più vicino a uno svizzero di Zurigo, a un austriaco di Salisburgo o a un altoatesino, di quanto lo sia a un berlinese o a un «gelido» anseatico di Amburgo o di Brema. Preiss, per prussiano, è un insulto che costa una multa se rivolto a un abitante di Monaco o di Norimberga. Non è punibile, invece, se rivolto a un turista venuto dal Brandeburgo, un prussiano appunto. Niente accomuna un sassone a un allegro renano, come poco lega un siciliano a un veneziano. Secondo un sondaggio, il 60 per cento dei tedeschi si identifica con la propria regione e non con lo Stato nazionale. Con la casalinga Heimat, e non con il cupo Vaterland.
Diversità sottolineate dai cibi (risi e bisi contro pasta con le sarde; Aalsuppe, la zuppa di anguilla con l’uvetta descritta da Thomas Mann nei Buddenbrooks, contro wurstel e crauti), dalle tradizioni, dai costumi, dalle canzoni. Per non parlare dei dialetti.
Eppure che cosa fa saltare a fianco a fianco un italiano o un tedesco? Lo sventolare di un drappo tricolore, il loro o il nostro, o una maglia azzurra? Un’aria di Verdi o l’Inno alla gioia di Beethoven? Le erotiche vibrazioni nella voce di Marlene Dietrich o gli acuti di Claudio Villa?
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