Perfino Beckenbauer ammette che i calciatori tedeschi tornano maturati dal soggiorno in Italia e giocano meglio in nazionale. Tra le vittime della nuova xenofobia troviamo anche nostri connazionali, per la verità: uno picchiato ad Hannover, due malmenati a Francoforte. Finiscono in prima pagina ma a indagare meglio si scopre che si tratta di litigi tra vicini, questioni private. Non sempre, ma quasi sempre.
In complesso siamo meno discriminati di altri gruppi etnici, nonostante la mafia, che comincia a invadere la Repubblica Federale, ma gli emigrati «veri» sono in genere cittadini rispettosi delle leggi. In media, in un anno sono ospiti delle prigioni germaniche appena un migliaio di nostri compatrioti: uno su 557, una media più che invidiabile.
«Italiener? Zwei linke Hände”, e la frase con cui viene accolto Primo Levi dal sorvegliante del Lager: «Italiano, due mani sinistre», ed è l’unica battuta «umoristica» di Se questo è un uomo. Ma oggi i nostri lavoratori sono ricercati e apprezzati. Anni fa, il mio giornale mi sollecitò un articolo di denuncia contra la Volkswagen che in crisi licenziava i nostri emigrati. Gli operai italiani marciavano per protesta innanzi all’Ambasciata. Ma per poter essere licenziati. La «casa» di Wolfsburg concedeva un premio alle dimissioni (qui non esiste la liquidazione, se non espressamente riconosciuta per contratto), ma lo rifiutava agli italiani: «Non vogliamo che se ne vadano, loro sono essenziali per il ciclo lavorativo», mi spiegarono alla VW, «noi vogliamo liberarci degli impiegati tedeschi che non ci servono». La piccola liquidazione era considerata una fortuna dagli italiani, per finire la casa in paese, o aprire un negozietto. I tedeschi non sapevano che farsene. Eppure alcuni dati sembrano contraddirmi. La più alta percentuale di disoccupati fra gli emigrati è degli italiani, la più alta percentuale di bambini stranieri inviati alle Sonderschule, cioè alle scuole per chi è in ritardo mentale, è italiana. Ed è sempre nostra la percentuale più alta di chi lascia prima del termine la scuola dell’obbligo. Colpa dei tedeschi.
Dei 35mila italiani senza lavoro, l’80 per cento non sa pronunciare una semplice frase in tedesco, per non parlare di una qualifica professionale. Sono le nostre autorità che si disinteressano dei nostri emigrati, i cui figli finiscono nei corsi speciali non perché siano di intelligenza inferiore alla media, ma perché non vengono assistiti da insegnanti «nella loro lingua», come avviene per i turchi o per i greci, gli spagnoli o i portoghesi. Il nostro governo è intervenuto solo dopo che un nostro console a Stoccarda davanti alle autorità tedesche ha ammesso che «Roma se ne infischiava dei problemi scolastici» della comunità italiana. Il console è stato richiamato in sede, per punizione.
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