La Berlinale è iniziata e nel primo giorno, fra le pellicole in concorso, ha offerto quella della regista ed attrice tedesca Maria Schrader, già vincitrice nel 1992 del “Max-Ophüls-Preis” e due “Bavarian Film Awards” come migliore attrice nel 1994 e nel 1998, nonché l’“Orso d’argento per la migliore attrice” proprio a Berlino per Aimée & Jaguar nel 1999.
Questa volta si è cimentata dietro la macchina da presa con una storia tratta dall’omonimo racconto della scrittrice di Erfurt (Turingia) Emma Braslavsky dal titolo appunto “Ich bin dein Mensch” (Sono il tuo uomo). Ne è venuta fuori una commedia romantica (la cui sceneggiatura è stata scritta a quattro mani con lo scrittore Jan Schomburg) interpretata dalla brava Maren Eggert (l’antropologa Alma nel film), Dan Stevens (il robot Tom) e Sandra Hüller (un’impiegata di un’industria robotica).
La storia è ambientata nella Berlino contemporanea (o meglio, in un futuro molto prossimo) e parla dell’antropologa Alma, che lavora presso il bellissimo Pergamonmuseum della Capitale tedesca. Per finanziare le sue ricerche su delle tavolette di origine sumera, la studiosa accetta di partecipare ad un esperimento di tre settimane con un robot umanoide, Tom, programmato per soddisfare ogni suo desiderio. Inclusi quelli sessuali. La situazione, che sembrava avere un epilogo piuttosto brusco per via delle spigolosità caratteriali della donna e per alcuni “inconvenienti tecnici” nella programmazione del robot, evolve in realtà in modo inaspettato per la protagonista costretta dalle circostanze a fare i conti con se stessa e i propri sentimenti.
Nella storia del Cinema infiniti sono gli esempi del rapporto uomo-macchina, ad iniziare dal capolavoro assoluto di Fritz Lang “Metropolis”, passando in tempi più recenti a “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick o “Blade Runner” di Ridley Scott. Tuttavia, senza voler scomodare capolavori inarrivabili come questi, la storia girata dalla Schrader scorre piacevole per tutti i 105 minuti della sua durata, affrontando in modo leggero tematiche per così dire filosofico-esistenziali umane, mettendo bene in evidenza la solitudine e la fragilità dell’essere umano. Soprattutto in tempi come questi di pandemia.
Il film, tra le altre caratteristiche, è stato girato in Germania fra la prima e la seconda “ondata” del Covid-19, tra agosto e settembre del 2020. Non sono mancate pertanto difficoltà dovute alle rigide regole messe in atto per evitare contagi. Particolare ansia ha causato alla troupe cinematografica la scena iniziale, dove oltre 80 persone erano riunite in una sala da ballo (il noto locale berlinese Café Keese). L’attore principale, il britannico Dan Stevens (che abitualmente risiede negli Stati Uniti a Los Angeles), parla correntemente tedesco e non ha avuto dunque grandi difficoltà ad interpretare un ruolo in questa lingua (la pellicola è stata girata in tedesco). E in ogni caso gli è stato “cucito addosso” un personaggio “old style”, un po’ alla Cary Grant, che è in continua evoluzione come robot che impara. E come tale anche con accento britannico risulta pienamente nel ruolo assegnatogli.
Il film è prodotto dalla Letterbox Filmproduktion e viene venduto a livello internazionale dalla Beta Cinema.
Se, come noi tutti speriamo, si potrà vedere effettivamente da giugno (per chi sarà a Berlino) o comunque nelle sale cinematografiche, non va assolutamente perso.
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