Artisti

Friedrich, Goethe e l’Italia

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Il tempio di Giunone ad Agrigento, C. D. Friedric -Museum für Kunst und Kulturgeschicht, Dortmund

Incisione di Balthasar Anton Dunker su concessione dell’ Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Autorizzazione del Parco Archeologico e Paesaggistico della “Valle dei Templi di Agrigento

«Arrivammo presto all’estremità orientale della città, dove i ruderi del tempio di Giunone cadono ogni anno sempre più in rovina per la corrosione prodotta dall’aria e dalle intemperie sulla pietra porosa».
Un ammonimento da non sottovalutare – quello per una maggiore attenzione alle inestimabili bellezze naturali e artistiche della nostra terra – espresso da Goethe nel suo Viaggio in Italia già due secoli fa.
Quasi certamente il tempio fu gravemente danneggiato molto tempo prima, durante la conquista cartaginese del 406 a.C., da un incendio di cui restano le tracce sui muri della cella.
L’edificio venne poi forse restaurato in epoca romana e poi a più riprese fino al XVIII secolo. Oggi il tempio di Giunone – o meglio, ciò che ne rimane – ci appare in tutto il suo splendore sullo sperone roccioso più elevato della collina dei Templi ad Agrigento.
In realtà la sua attribuzione a Giunone deriva da un’errata interpretazione di un passo dello scrittore romano Plinio Il Vecchio, che si riferisce ad un altro tempio, quello sul promontorio Lacinio a Crotone, in Magna Grecia.

Su concessione dell’ Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Autorizzazione del Parco Archeologico e Paesaggistico della “Valle dei Templi di Agrigento

Che cosa spinse il pittore Caspar David Friedrich nel 1830 a dedicare un’opera proprio al tempio di Giunone di Agrigento, non ci è dato sapere.
Ripetutamente e da più parti invitato in Italia, non seguì mai, Friedrich, le orme di Goethe che pure conobbe (anche se pare tra i due non corresse buon sangue). E quasi in polemica con la consuetudine dei paesaggisti romantici che guardavano per ispirazione all’Italia, si discostò da tale tradizione.

Ritratto di Caspar David Friedrich, Gerhard von Kügelgen, circa 1810–20

Tuttavia, inspiegabilmente – quando si trovò davanti ad una riproduzione del Voyage pitoresque en Sicile di Carl Frommel – venne preso dall’insano desiderio di copiare quell’opera, interpretandola secondo il suo personalissimo, inconfondibile stile. Modificandone, come per dispetto, la solare immagine classica in un tramonto dove una pallida luna – nella migliore tradizione dello stile gotico – sorge sulle rovine, avvolte dall’ombra, del tempio pagano.

Il tempio di Giunone ad Agrigento, C. D. Friedric -Museum für Kunst und Kulturgeschicht, Dortmund

Un piccolo capolavoro, questo quadro, oggi conservato presso il Museum für Kunst und Kulturgeschichte di Dortmund. Dal quale – come accade con altre opere più note del celebre pittore di Dresda – si fatica a distogliere lo sguardo. Come verso un tacito invito a penetrare la storia di un’anima che troppo presto aveva imparato a conoscere il dolore, la separazione, il lutto.
“In un primo tempo non mi saziavo di guardare quell’uomo straordinario; un viso come il suo, a quell’epoca non l’avevo ancora visto e anche dopo mi capitò di vederne raramente. Non era assolutamente quel che si dice un bell’uomo – pallido e magro com’era – ma ogni suo muscolo dava al volto un tratto energico tipico che, per il suo stato d’animo sempre imperturbabile, vi aveva lasciato come un’impronta fissa. La serietà malinconica, che si mostrava soprattutto nella fronte, era addolcita dallo sguardo dei suoi occhi azzurri, ingenuo come quello di un bambino e sulle sue labbra aleggiava un che di scherzoso. Era in lui una mescolanza curiosa di profonda serietà e di gaiezza scherzosa, come a volte si trova tanto nei più grandi spiriti malinconici quanto nei maggiori comici”
Così lo ricordava il suo medico e amico Gotthilf Heinrich von Schubert che lo seguì fin nei momenti più bui che precedettero la morte avvenuta, dopo una lunga depressione, per le complicanze di un infarto a Dresda il 7 maggio 1840.

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