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Berlino compie cent’anni

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Berlino © il Deutsch-Italia
Berlino © il Deutsch-Italia
La Porta di Brandeburgo e la Pariser Platz © il Deutsch-Italia

La Porta di Brandeburgo e la Pariser Platz © il Deutsch-Italia

Quanti anni ha Berlino? La metropoli forse si vergogna d’essere arrivata ultima tra le capitali d’Europa e gli anni se li aumenta. Nel 1987, ancora divisa, le due parti, all’Est e all’Ovest, festeggiarono in gara una contro l’altra il 750esimo compleanno, un anniversario fittizio, inventato a tavolino dai nazisti. Vinse l’Est, perché il regime investì tutte le scarse risorse nazionali sulla Capitale. Berlino sarebbe nata dall’unione di due villaggi lungo il fiume, Berlin e Cölln. Quindi avrebbe oggi 783 anni, il primo ottobre festeggia invece i suoi primi cento anni, un’età da asilo infantile se confrontata con Roma o con Parigi, Vienna o Madrid.

Il duomo di Berlino © il Deutsch-Italia

Il duomo di Berlino © il Deutsch-Italia

Il 27 aprile del 1920, a mezzogiorno, si votò per unire i sei Bezirk, i distretti, in cui era ancora diviso l’agglomerato urbano. Una vittoria di misura, 164 ja dei partiti di sinistra, 148 nein dei conservatori. La legge entrò in vigore sei mesi dopo. Di colpo in Groß Berlin, la grande Berlino, la popolazione raddoppiò a 3,9milioni, e divenne la terza metropoli al mondo, dopo Londra (7,5milioni) e Parigi (5,6milioni), Milano aveva circa 800mila abitanti.
Da allora, dopo due dittature, la guerra perduta, la divisione, il Muro, la riunificazione, i confini non sono mutati di molto. E gli abitanti sono poco meno di allora, tre milioni e 762.456 per l’esattezza, diminuiti di settemila rispetto all’anno precedente. È la prima volta dal 2003 che la metropoli perde abitanti. E i quartieri, dopo la riunificazione, sono sedici.

Lothar De Maizière © CC BY-SA 3.0 Henryk Plötz WC

Lothar De Maizière © CC BY-SA 3.0 Henryk Plötz WC

Nel 1963, John Kennedy a Berlino, pronunciò la storica frase “Ich bin ein Berliner”, ma nessun autentico berlinese direbbe mai “io sono un berlinese”. Dice piuttosto “Ich bin ein Charlottenburger”, uno del quartiere dove abito, o Wilmersdorfer, o Weddinger. Ogni cittadino è visceralmente fedele al suo Kiez, alla sua zona, all’Heimat, la piccola patria familiare.
La strada dove abito porta il nome di Kurt Schustehrus, sindaco di Charlottenburg, che si batté contro la metropolitana che avrebbe dovuto attraversare il quartiere, l’attuale linea 7, per decenni il tunnel più lungo al mondo, fin quando non fu superato dai giapponesi. Temeva che sarebbero giunti troppi berlinesi da altre zone, turbando la serena atmosfera del suo regno. Cedé a caro prezzo, ma i soldi li spese per il bene comune. Morì nel 1913, prima della Grande Guerra e non assisté alla fine dell’indipendenza di Charlottenburg.
In realtà Berlino è sempre stata divisa, tra quartieri residenziali e operai. Lothar De Maizière, l’ultimo capo della scomparsa DDR, cristianodemocratico e non comunista, mi raccontò di essere nato e cresciuto a Wilmersdorf, quartiere dell’Ovest, e nella sua famiglia di rado si andava all’Est, se non per motivi ben precisi. Ogni quartiere ha tutto, da teatri a cinema ristoranti, ospedali e piscine, un sindaco, e un ufficio imposte. Non c’è ragione di attraversare la città.

Schöneberg© il Deutsch-Italia

La casa dove visse Isherwood a Schöneberg© il Deutsch-Italia

Mi sorprende che dopo due guerre, due dittature, la divisione, il “Muro”, ogni quartiere abbia conservato le sue tradizioni storiche. Charlottenburg, 350mila abitanti, quasi quanto Firenze, divenne la meta preferita dei russi che fuggivano dopo la Rivoluzione d’Ottobre, tanto da essere soprannominata Charlottengrad. Mio vicino di casa all’epoca era Nabokov, che viveva dando lezioni di tennis. E qui sono giunti i russi dopo la fine dell’Unione Sovietica. Schöneberg è sempre il quartiere degli omosessuali, prima dell’avvento di Hitler, e qui si trovava la pensione di Christopher Isherwood quella del film e del musical “Goodbye Berlin”.
Dopo un secolo, nonostante le apparenze, Berlino ha conservato una doppia anima. Qui arrivarono gli intellettuali italiani che non sopportavano il fascismo negli Anni Venti, perché costava poco ed era la città più simile a New York, almeno nell’immaginario, un centro moderno e libero. Ma è sempre una metropoli e allo stesso tempo un agglomerato di paesi.

Il quartiere di Charlottenburg © il Deutsch-Italia

Il quartiere di Charlottenburg © il Deutsch-Italia

Dove abito, ci conosciamo quasi tutti come in un villaggio. Christos, che vende vini greci, ha la chiave della mia auto, e la sposta se finisce in divieto di sosta quando sono in Italia. Il benzinaio mi chiede notizie del Covid a Roma, e di Salvini. Con Leonard, l’antiquario nella mia strada, ci battiamo perché non vengano cambiati i lampioni a gas che risalgono al 1888, quando la Grande Berlino non era ancora nata.

 

 

@ per gentile concessione di Italia Oggi

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Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. In Germania è uscito "Guida per amare i tedeschi", "Anleitung die Deutschen zu lieben" (Argon e Goldmann), "Complotto Reale" (Bertelsmann), "In difesa delle donne rosse" (Argon), "Hundert Zeilen", "Berlin liegt am Mittelmeer" (Avinus Verlag), "Pfiff", romanzo sulla Torino degli Anni Sessanta e la rivolta operaia di Piazza Statuto; "Attraverso la Francia, per non dimenticare il Belgio"; "Lebst du bei den Bösen?", "vivi tra i cattivi, la Germania spiegata a mia nipote"; e recentemente "Il Muro di Berlino. 1961-1989".

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