La fine del paradiso è cominciata quando hanno aggiunto una E all’Intercity, da IC a ICE, cioè un treno ad alta velocità. Si fa per dire. Il loro debutto si risolse in una gaffe colossale. Le porte non si aprivano, imprigionando i passeggeri, il riscaldamento non funzionava o funzionava troppo, e le finestre sono bloccate perché si presuppone che funzioni l’aria condizionata. C’è perfino la TV a bordo ma solo nei vagoni dove si fuma, chissà perché, tanto le immagini traballanti farebbero venire il mal di mare a un ammiraglio. Il ristorante è minuscolo e si tramuta in un autobus romano nell’ora di punta. Però, sostiene la «Bild am Sonntag», ai tedeschi i treni affollati piacciono «perché così fanno conoscenza». L’ICE funzionerà come agenzia patrimoniale, meno come treno. È più in ritardo di Mozart e colleghi, e quando non lo è si risparmia mezz’ora, a caro prezzo, tra Berlino e Stoccarda. Purché si sappia di dover partire almeno con una settimana di anticipo e si possa prenotare, altrimenti si viaggia in piedi. Nelle intenzioni doveva servire anche da «centro congressi viaggiante» per manager che hanno fretta, ma le prenotazioni dei businessman sono crollate della metà dopo il primo anno. Tuttavia, l’ICE riscuote un grande successo fra una categoria: quella dei borseggiatori. Non c’è spazio per le valigie, e gli attaccapanni per i cappotti sono rari e lontani dai vostri posti.
I tedeschi speravano di vendere l’ICE alla Corea del Sud, un affare da 3,5 miliardi di dollari, ma hanno subito l’umiliazione d’una sconfitta. A Seoul hanno preferito il TGV dei francesi. Anche i tedeschi per i loro tratti pieni di curve, che non vogliono raddrizzare come le lettere, sono stati costretti a comprare una decina dei nostri «Pendolino». La loro tecnologia è superiore, ammette «Wirt- schaftswoche», autorevole settimanale economico, ma è meglio non farlo sapere. I nostri treni, che affrontano i tourniquet come un campione di valzer, sono stati «truccati» da convogli tedeschi, e tutte le parti sostituibili vengono costruite in Germania.
I tedeschi non sono più puntuali, però se lo attendono sempre dagli altri. Nel giugno del ‘72, i terroristi della Baader-Meinhof braccati in tutta la Germania annunciarono che avrebbero fatto esplodere tre auto cariche di dinamite nel centro di Stoccarda. Alle 12 in punto. Mi recai a Stoccarda. Le auto cercate febbrilmente per diversi giorni non erano state scoperte. Mi sistemai in un posto strategico: nel bar dell’Hotel Zeppelin che dà sulla piazza della stazione, all’epoca tramutata in un enorme cantiere della metropolitana. Sotto di noi, il traffico era normale, i marciapiedi affollati di gente. Cominciarono a svuotarsi una decina di minuti prima di mezzogiorno. Alle 12 meno cinque, nel bar rimanemmo in quattro: io, due colleghi italiani, e il barista di Napoli. Tutti scettici latini. La piazza sotto di noi era completamente deserta.
Aspettammo l’esplosione che non ci fu. Dieci minuti dopo mezzogiorno, tutti ritornarono ai loro posti, e la gente affollò strade e negozi. A nessuno passò per la mente che quelli della Baader-Meinhof potessero avere scientemente mentito sull’ora. Erano dei «diabolici terroristi» ma pur sempre terroristi tedeschi. Quindi, puntuali.
Commenti