Vietare il burqa è da razzisti? A Kiel i Verdi si sono opposti al divieto di indossarlo all’Università, in nome della libertà di religione. Non si capisce come proprio da sinistra, e dalle donne che si battono per l’emancipazione, si possa difendere il Kofptuch, il velo islamico, o un totale occultamento del corpo femminile come il burqa. Una delle tante, e tra le meno perdonabili, in cui cade il politically correct. In nessuna pagina del Corano si trova una sola parola sul velo, e sull’obbligo di celare i capelli. Per non parlare del burqa o del niqab che lasciano liberi solo gli occhi.
Nello Schleswig-Holstein, piccolo Land sul Baltico, è al governo una coalizione tra cristianodemocratici, liberali e Verdi, la cosiddetta Jamaika Koalition, dai colori dei partiti, e il primo ministro è Daniel Günther della CDU. Tutto è nato all’inizio dell’anno scorso. Una studentessa tedesca della facoltà di Agricoltura, convertita all’islam, è apparsa in aula completamente velata. E il professore l’ha allontanata. Lei ha presentato ricorso. L’ateneo le ha dato torto, ed è iniziata la vertenza. In estate si era giunti a un compromesso tra la studentessa e le autorità universitarie: la giovane avrebbe dovuto svelare il viso a un’altra donna che potesse identificarla prima di partecipare alle lezioni o presentarsi a un esame. Ma l’accordo non è stato approvato dal Governo. I cristianodemocratici hanno presentato una legge per vietare il Kopftuch a scuola. I Grünen hanno fatto opposizione, e si è rischiata una crisi di Governo.
Ma non tutti i Verdi erano d’accordo. Alcuni deputati si sono dissociati, come la direzione nazionale del partito. Cem Özdmir, di origine turca, fino al 2018 capo del partito, è intervenuto da Berlino per spiegare che il burka è ben differente dal velo islamico, e che non ci si può battere per una falsa tolleranza. «Il burka è solo simbolo di una totale oppressione della donna», ha dichiarato a Kiel il portavoce della CDU, Tobias von der Heide. Per il liberale Christopher Vogt «è un’espressione del fondamentalismo e dell’islamismo». Ed ha ricordato come di recente in Olanda chi indossa per strada il burka rischia una multa di 140 euro. Alla fine, anche i Verdi del Baltico hanno capito, e si sono associati al divieto, che viene ribadito nel regolamento scolastico del Land, in ogni livello di insegnamento. E l’esempio sarà seguito dalla vicina Amburgo, città Stato.
Ma non sono solo i Verdi del Nord a difendere il velo o il burka. A metà gennaio si è arrivata alla rissa a cazzotti all’Università di Francoforte tra chi si oppone al velo e quanti si battono per consentirlo ovunque. È dovuta intervenire la polizia per dividere i due gruppi. Si discuteva in un simposio sul divieto del Kopftuch in tutta la Germania. Sul podio si trovava Naila Chikhi, nota scrittrice musulmana, che si batte per i diritti delle donne arabe, e Ingrid König, ex rettore dell’Ateneo. Per la Chikli il velo è “una bandiera dell’islamismo”. La discussione è stata interrotta dall’intervento del gruppo “Studis gegen rechte Hetze”, studenti contro la campagna, la provocazione della destra. Per i dimostranti il simposio era espressione del “razzismo antislamico”. Naila Chikli, nata nel 1980 in Algeria, i suoi genitori presero posizione contro il Governo, e lei dové lasciare da sola a 13 anni il Paese. È favorevole a vietare il velo alle ragazze a scuola e fino ai 18 anni: «Mi chiedo se per voi non sono abbastanza musulmana», ha chiesto a chi la insultava.
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