Leggo due articoli sulla “Süddeutsche Zeitung”, che per me è il miglior giornale in Germania, insieme con la “Frankfurter Allgemeine”, che in apparenza non sono collegati. Ma il secondo è incomprensibile se non si legge il primo: due giovani fratelli hanno ucciso la sorella nella Capitale, messo il corpo in una valigia per sbarazzarsene a Monaco, abbastanza lontano per non essere scoperti. Chi sono? E perché hanno assassinato la ragazza?
Nell’altro articolo, si apprende che da aprile a giugno di quest’anno scorso i reati contro i musulmani e gli attacchi alle moschee sono diminuiti. Appena 99, mai cosi pochi dal 2017. Anche nel primo trimestre del 2021 si era scesi a 113, cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2020. Durante tutto l’anno scorso, erano stati 929, tra cui 79 attacchi a moschee. L’anti-islamismo è dunque in calo? Frau Ulla Jelpke, l’esperta della Linke, non è ottimista: forse è una conseguenza del lockdown a causa del Covid, e le denunce sono la punta dell’iceberg, non tutto viene denunciato. Probabilmente, se l’articolo sui due fratelli fosse stato scritto in maniera comprensibile, sarebbe stato registrato come un atto di anti-islamismo, o di islamofobia, che sarebbe tuttavia un’altra cosa. Non sempre avere paura di qualcuno o di qualcosa equivale a razzismo.
In Germania non esiste come in Italia un ordine dei giornalisti, ma è stato stilato un codice di auto-comportamento. È vietato in un fatto di cronaca riportare i nomi dei presunti colpevoli e delle vittime, al massimo il nome di battesimo, e non si può alludere all’etnia.
Quanto è avvenuto a Berlino, l’ho capito leggendo la “Die Welt”, che ha ignorato il codice. I due fratelli, di 22 e 25 anni, hanno ucciso la sorella, di 34 anni, perché il suo comportamento offendeva la loro morale di maschi, per un malinteso onore familiare. Hanno nascosto il corpo in una valigia e hanno preso un treno per la Baviera. Infine hanno sepolto la sorella in un bosco nei pressi di Neuburg, una cittadina sul Danubio, vicino all’abitazione di uno dei due fratelli. E sono afghani. Un caso, dunque, che ricorda quello di Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa a Novellara, probabilmente uccisa dal padre e dallo zio perché si era opposta al matrimonio imposto.
Anche la vittima a Berlino aveva divorziato, e aveva due figli di 9 e 13 anni. E a luglio aveva superato l’esame di elettricista e voleva lavorare in un’azienda edile. Altro peccato per i fratelli. Raccontare questo delitto è un atto di anti islamismo, perché incita all’odio verso i musulmani?
Io ho cominciato a lavorare come cronista a Torino negli Anni Sessanta, e ritengo che un giornalista rimanga cronista sempre, come inviato o corrispondente all’estero. E mi fu insegnato che una notizia deve essere comprensibile. Ricordo un fatto che occupò per diversi giorni le prime pagine, e io fui coinvolto per scrivere i pezzi con le notizie che mi riferivano i reporter. Un lavoro di squadra, e gli articoli in cronaca allora non erano firmati.
Al deposito bagagli della stazione di Porta Nuova una valigia aveva cominciato a sanguinare. Una valigia di cartone come quelle degli immigrati del Sud, che continuavano a giungere per cercare lavoro alla Fiat. I colpevoli vennero facilmente scoperti, due giovani amanti. Il marito di lei era finito in carcere per qualche anno, e lei aveva trovato un amante, più giovane e meno violento. Quando lui tornò in libertà, assetato di vendetta, i due giovani per paura lo avevano ucciso, fatto a pezzi il corpo, nascosto poi nella valigia. Venivano dal Sud, e non ricordo esattamente da dove. Gli articoli, non i miei, grondavano riprovazione verso i meridionali, barbari e crudeli. Razzismo?
I nomi venivano pubblicati per intero, e già erano sufficienti per intuire l’origine dei colpevoli. O bastava leggere i titoli: un delitto d’onore era una specialità del mio Sud, per i piemontesi si traduceva in dramma della gelosia. In Germania sono in aumento gli atti di antisemitismo, ma per paura del passato, e per il politically correct che vieta di rendere nota l’etnia, spesso la polizia li registra come normali atti di violenza, risse tra giovani.
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