L’eroe dell’offensiva di Hitler contro l’Unione Sovietica di Stalin non era un eroe, ma il suo volto lo conoscevano milioni di tedeschi. Un eroe senza nome, a sua insaputa. Da bambino, lo storico André Postert, 37 anni, vedeva la foto un giovane soldato incorniciata in salotto. «Chi è?» chiese ai genitori. «Nonno Frank», senza spiegazioni. Una foto sfocata, come sono quelle autentiche di guerra. Poster lavora all’“Hannah-Arendt-Institut” per le ricerche sul totalitarismo all’Università di Dresda, e ha deciso di scoprire chi fosse questo nonno morto prima che lui nascesse.
La foto era tratta da un filmato del “Wochenschau”, la rassegna settimanale proiettata nei cinema prima del film, mezz’ora con le notizie di attualità, un po’ come la “Settimana Incom” in Italia, nel dopoguerra prima che giungesse la tv. Il 22 giugno del ‘41, iniziò l’“Operazione Barbarossa” sul fronte orientale, e il cinegiornale mostrava per due o tre secondi il nonno Frank, all’attacco contro i rossi, lo sguardo verso l’orizzonte. Immortalato per sempre, anche mezzo secolo dopo la fine della guerra nei documentari storici, la sua immagine veniva scelta come un simbolo della guerra contro l’Urss, un’icona del XX secolo. Se si cerca in internet, si scopre ancora il soldato Frank. «Mio nonno era un nazista?» si è chiesto il nipote.
Hitler aveva previsto una guerra lampo contro l’Urss, ma al 10 ottobre le divisioni corazzate sono ferme nella sacca di Wjasma-Brjansk. Mezzo milione di soldati sovietici sono circondati, ma resistono, Mosca deve essere conquistata prima dell’inverno. Il Führer non vuol fare la fine di Napoleone.
Come continuare a mostrare al “Wochenschau” sempre le stesse facce? Il 22 ottobre le immagini della battaglia a Wjasma-Brjansk arrivano nei cinema in patria: soldati tedeschi guadano un fiume, conquistano un paese. E Frank è sempre lì, come a giugno. Poco credibile.
All’inizio, Hitler controllava ogni numero del “Wochenschau”, poi lasciò il compito a Joseph Goebbels. E il ministro della Propaganda non è soddisfatto del cinegiornale. A casa, la famiglia è preoccupata per Frank, dal fronte non giungono notizie. Perché sempre quell’immagine? Forse è ferito, o morto. La madre scrive e chiede che il figlio non continui a combattere in prima linea. Era possibile in certi casi, se il figlio era l’unico sostentamento della famiglia, o se il padre era caduto nella Grande Guerra, o rimasto invalido per le ferite.
La mamma mente, il marito è morto di tubercolosi a causa dei gas a Verdun. E viene creduta, è anche interesse del Reich evitare che l’eroe del cinegiornale cada in battaglia. Nel maggio del ‘42, Frank viene trasferito nelle retrovie. Ma non è in salvo. Dopo mesi a Coblenza lo mandano nella Jugoslavia occupata. Non al fronte, ma ogni giorno rischia la vita contro i partigiani.
Il nonno si è reso colpevole di rappresaglie contro la popolazione? Il nipote sospetta che sia probabile. Come saperlo? Frank finisce prigioniero dei “rossi”, torna libero nell’autunno del ‘46, è un invalido, una gamba e le braccia paralizzate. Morirà a 61 anni. Il nipote tra milioni di dossier negli archivi non ha trovato nulla a carico del nonno. Non era iscritto al partito nazista, non fu un eroe, non fu un criminale di guerra. Un simbolo per caso tra milioni di giovani tedeschi.
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