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Infanzia berlinese: un viaggio a ritroso nei ricordi

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Brandenburger Tor nei primi del '900 © il Deutsch-Italia
Brandenburger Tor nei primi del '900 © il Deutsch-Italia
Walter Benjamin nel 1928

Walter Benjamin nel 1928

Il filosofo, critico letterario, traduttore e scrittore Walter Benjamin nacque a Berlino nel 1892 e dopo quarantotto anni si suicidò a Portbou, in Spagna. L’opera dell’artista, per lo più frammentaria e versatile rispetto alle tematiche da lui trattate, fu maggiormente riconosciuta dopo la sua morte. L’inquietudine esistenzialista ha influenzato l’autore durante il suo percorso vitale e artistico spingendolo attraverso la volontà di affrontare argomenti come la storia e il progresso, la conoscenza e l’essere umano, il linguaggio e la memoria.
Durante i suoi anni di operatività fra i sostenitori delle sue teorie si distinse soltanto un ristretto gruppo di amici, fra i quali T.W. Adorno e Hannah Arendt, e alcuni esponenti della Scuola di Francoforte. Attualmente Benjamin è considerato fra le personalità più originali della cultura tedesca, essendo le sue dottrine una contribuzione fondamentale per le basi dell’arte postmoderna.

Infanzia Berlinese © Einaudi editore

Infanzia Berlinese © Einaudi editore

In Infanzia berlinese intorno al millenovecento (Einaudi, 2007, pag. 154, euro 16) il filosofo tedesco racconta in prima persona degli spazi, degli oggetti, delle persone e delle situazioni che furono protagonisti durante i suoi primi anni di vita a Berlino, nel periodo di transito del cambio di secolo. L’opera è una selezione di racconti brevi, a volte minuscole elegie, che evocano un solo dettaglio di una strada o di un gesto, scritti attorno al 1930, e pubblicati per la prima volta in un’unica selezione grazie al contributo di T.W. Adorno nel 1950. Le origini ebraiche di Benjamin lo costrinsero, dopo la presa al potere del nazismo in Germania, a prendere la via dell’esilio, inizialmente in Francia e poi in Spagna, dove, esausto, si tolse la vita. Infanzia berlinese è da una parte la testimonianza del sentimento nostalgico dell’io adulto, che rivede con gli occhi di un bambino il cortile di casa in attesa del suo risveglio, o la luce che proveniva dalla luna, oppure anela i momenti della caccia alle farfalle, o riassapora il primo impulso sessuale.

T.W. Adorno © CC BY-SA 3.0 Jeremy J. Shapiro WC

T.W. Adorno © CC BY-SA 3.0 Jeremy J. Shapiro WC

Dall’altra la prosa è anche un atto di celebrazione del tempo trascorso, rappresentato mediante l’unificazione tra l’essere e la sua esperienza. Un legato esistenzialista: non esiste un’altra essenza che non sia la continuità dei nostri atti. Leggiamo nel racconto “La giostra”: «il ripiano con i suoi servizievoli animali gira radendo il terreno. È l’altezza in cui meglio si sogna di volare. (…) Come un fedele sovrano, troneggia su un mondo che gli appartiene. (…) Da tempo ormai l’eterno ritorno di tutte le cose è parte della saggezza del fanciullo».
«Vivevo», scrive successivamente Benjamin in “La Comarehlen”, «come un mollusco nella conchiglia del XX Secolo che ora mi sta davanti come un guscio vuoto. Accosto la conchiglia all’orecchio. Che cosa sento?». L’autore brinda, mediante una prosa poetica e metaforica, al ritrovarsi con le esperienze che contribuirono a foggiarlo durante la sua

Hannah Arendt 1975

Hannah Arendt 1975

gioventù. Riproducendo la propria giovinezza fa riaffiorare alla memoria i gesti quotidiani per poi estrarne minuziosamente la verità e singolarità della poesia. Così, si trasforma il calzino del comò in un’avventura; l’acqua del canale, che si trascina torbida e lenta, diviene la confidente di ogni tristezza, e colui che ha la fortuna di leggere un nuovo libro: si ritrova con i piedi su un nuovo continente.
Infanzia berlinese intorno al millenovecento è una vera e propria dialettica del ricordo, un dialogo tra l’essere nel passato e quello che tutt’ora è, nel presente, nella voce dell’autore che ricorda. Senza rimorsi si riaffaccia lo scrittore nel passato, lo riabbraccia riconoscendo in questo il suo essere nel tempo e nello spazio.

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Ciao, s’ciavo, sclavus. Un saluto a tutti voi!

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