Un equivoco che è alla base dei difficili rapporti tra noi e loro. Li aggrediamo perché ci sentiamo più deboli. I tedeschi si sentono assaliti a tradimento, nel momento meno opportuno, mentre sono impegnati in una drammatica fase storica seguita all’inaspettata riunificazione. Non comprendono le accuse loro rivolte, replicano con durezza, e i pregiudizi rimangono.
I tedeschi non sono quei mostri di perfezione che riteniamo, forse non lo sono mai stati. Grandi lavoratori? Sono quelli che hanno l’orario più corto al mondo, e in compenso sono i più pagati. Lavorano meno ma sono più qualificati? Non sembra, a stare ai loro stessi giudizi e alle difficoltà crescenti che incontrano ad affrontare la concorrenza internazionale. I prodotti tedeschi sono sempre meno perfetti e sempre più insidiati da quelli stranieri, più affidabili e meno cari.
Onesti e corretti? Il mondo politico e quello economico sono turbati da scandali quotidiani. I sindacalisti giocano in borsa grazie a informazioni riservate, invece di occuparsi degli interessi dei lavoratori. Il best-seller in testa alle classifiche da due anni porta il titolo Schiappe in doppiopetto e si riferisce ai manager della Repubblica Federale, maestri solo nell’autopagarsi stipendi di sogno e nel difendersi 10 a vicenda. I politici mentono e si lasciano comprare con una vacanza omaggio. Le banche truffano Ì loro clienti. I funzionari statali, i tutori della cosa pubblica che all’estero sono definiti «mitici» (appunto), sono campioni del «dolce far niente», imparato dai colleghi italiani. Perfino gli artigiani sono inaffidabili, cari e incapaci, ed i treni arrivano in ritardo. Si lavora al nero e si cerca di non pagare le tasse.
Neanche i tedeschi sono perfetti, e quindi si può amarli. O tentare di amarli. Anche nel nostro interesse. Quando si sentono capiti, e accettati, i tedeschi diventano partner meravigliosi, a livello europeo e in camera da letto. E dimostrano altre qualità, sconosciute a noi e a loro. I tedeschi non sono né meglio né peggio della loro fama. Sono semplicemente diversi. Non c’è popolo in Europa meno conosciuto.
Appunto perché si crede di conoscere tutto, e non si nutrono dubbi.
Il tedesco di oggi – e ci sono «ragazzi del ’68» già nonni – per mezzo secolo è stato sottoposto all’attenzione particolare del mondo intero, pronto a insospettirsi a ogni minimo indizio di ricaduta nel male nazi. Perché sorprendersi se ci troviamo innanzi a tedeschi profondamente pacifisti, democratici fino allo scrupolo, che hanno riscoperto le loro virtù più antiche e si sono lasciati tentare da vizi più moderni e rassicuranti?
I tedeschi vogliono essere amati. Nessun altro popolo si preoccupa con tale ossessione di che cosa si pensi all’estero. I giornali riportano con masochistica puntualità i commenti sugli Hässlichen Deutschen, gli «odiosi tedeschi», pubblicati a New York, Parigi, Londra. Perché gli stranieri ci giudicano male? Che cosa possiamo fare per cambiare la nostra immagine?, si domandano con disperazione commovente. Tentiamo di amarli, e vediamo che cosa succede.
Sono convinto che i guai loro, e nostri, dipendano in parte da questa mancanza non dico d’amore ma di simpatia. Come bambini che si sentano trascurati, a torto o a ragione, e diventano violenti, dispettosi e insopportabili, anche per i tedeschi si instaura una spirale infernale: tanto più si sentono respinti mentre corrono da noi a braccia aperte e tanto più provano l’impulso irresistibile a mollare qualche calcio, a fare dispetti. Ad accentuare, per farla breve, proprio quei difetti per cui vengono tenuti a distanza.
I tedeschi sono meglio di quanto pensiamo, e diversi da quanto essi temono. Il tedesco di questo fine secolo dimentica la laboriosità e riscopre il romanticismo, non è più sicuro che l’obbedienza sia sempre un dovere sociale e non si vergogna di mostrarsi individualista. Ha più senso dell’humour degli inglesi, che continuano a ripetere vecchie battute (in genere scritte per loro dagli irlandesi), più savoir faire dei francesi, ed è un rubacuori simpatico e fantasioso, quanto e più di spagnoli e italiani. Sono i più colti e Ì più attenti ai problemi contemporanei, e i loro pensatori, pur essendo in crisi, vengono scopiazzati dai colleghi stranieri, e i francesi sono in questo fra i più sfacciati.
Hanno un sistema democratico più liberale di quello americano e il sistema sociale più avanzato al mondo, anche verso chi viene da fuori. L’uno e l’altro non privi di difetti, è ovvio, ma in minor numero e meno gravi rispetto ai loro partner. Infine, sono gli ultimi a credere agli ideali europei. Sì ribellano alla burocrazia della Comunità, si arrabbiano per dover pagare più care le banane, che adorano, o per essere costretti ad aumentare le tasse, ma aprono le frontiere a tutti. Si rifiutano di bere birra francese o mangiare wurstel italiani, ma ci affidano le loro orchestre e la ricostruzione della loro capitale. Sono confusionari, caotici, poco precisi, pigri e spendaccioni, furbastri e chiacchieroni, chiassosi e vanesi, affascinanti e inaffidabili. «Quasi» italiani. E che quel «quasi» sia a loro vantaggio o nostro, dipende dai gusti.
In fondo si ama qualcuno per i suoi difetti, non per le virtù. E secondo una frustra battuta, i tedeschi ci amano ma non ci stimano. Noi li stimiamo senza amarli. Perché non tentiamo di smentire i luoghi comuni? Almeno, si può cominciare, ed è più facile per noi che per loro.
Commenti