Guida per amare i tedeschi

La Germania aveva gli occhi verdi

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La Germania aveva gli occhi verdi

Un pittore poteva contare, come il poeta, su un minimo di tele acquistate per adornare alberghi o sedi pubbliche. Il redattore d’una casa editrice curava un’opera all’anno, libri su carta di cattiva qualità, ma preziosi, e che nessun editore all’Ovest si sarebbe mai potuto concedere il lusso di pubblicare, e che arricchiscono la mia biblioteca. Dove mai avrei potuto trovare la corrispondenza completa di Humboldt dal Centro America? Non l’ho ancor letta, ma prima o poi troverò il tempo.

È naturale che alle prese con le leggi del mercato qualche intellettuale si trovi oggi a mal partito, eppure ho la sensazione (ancora) che se giungerà qualcosa di nuovo verrà dagli ex artisti e scrittori dell’Est, più motivati dei colleghi occidentali, che sembrano sprofondare in un letargo di noia e di depressione, scossi a tratti solo dalla discussione eterna su quale sia il ruolo dell’intellettuale nella società.

«Il Cancelliere Kohl non capisce nulla di arte», ironizza «Der Spiegel», «nel suo studio ha la bandiera tedesca e un acquario con pesci rossi». Non gli è mai venuto in mente di chiamare al suo fianco un Attali teutonico, come ha fatto l’amico François Mitterrand, ma come dimostra l’esperienza francese non è poi un gran male. «A me bastano un tavolo, una sedia, una macchina per scrivere e carta sufficiente», mi disse Heinrich Boll.

I suoi colleghi si lamentano di non avere un ruolo, ma trovo che in nessun altro luogo come in Germania li si prenda tanto sul serio: la prova del «successo» sociale di un intellettuale è la persecuzione, all’Est come all’Ovest. Quando, sempre Boll, propose un salvacondotto per Ulrike Meinhof e i suoi terroristi, i servizi segreti gli invasero la casa, onore ambito da ogni scrittore che si rispetti.

Günther Grass ha restituito la tessera dell’SPD ed è stato sottoposto quasi a un linciaggio per essersi battuto solitario contro una riunificazione che «andava troppo in fretta». Anni fa, annunciò che la Germania era peggio dell’India e se ne andò in esilio fra i paria di Calcutta. Più un passeggio che un passaggio in India, dato che tornò prima del previsto e, a Calcutta, si trasferì in fretta nel quartiere residenziale dei diplomatici, non molto dissimile da Bad Godesberg. Ma i compatrioti lo presero terribilmente sul serio. Anche gli indiani si offesero, per ragioni opposte. Grass si è dimesso ancora una volta: dall’ADAC, l’Automobil Club, che si batte contro i limiti di velocità. Non gli si può negare la coerenza. Vent’anni fa aveva scritto Diario di una lumaca, per invitare i giovani contestatori ad andare piano. Lui ha ragione, ma i lettori hanno fretta.

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Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. In Germania è uscito "Guida per amare i tedeschi", "Anleitung die Deutschen zu lieben" (Argon e Goldmann), "Complotto Reale" (Bertelsmann), "In difesa delle donne rosse" (Argon), "Hundert Zeilen", "Berlin liegt am Mittelmeer" (Avinus Verlag), "Pfiff", romanzo sulla Torino degli Anni Sessanta e la rivolta operaia di Piazza Statuto; "Attraverso la Francia, per non dimenticare il Belgio"; "Lebst du bei den Bösen?", "vivi tra i cattivi, la Germania spiegata a mia nipote"; e recentemente "Il Muro di Berlino. 1961-1989".

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