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Rudolf e Walter Eucken, i padri della Germania “europea”

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Peter Handke © CC BY-SA 3.0 Wild + Team Agentur - UNI Salzburg WC

Peter Handke © CC BY-SA 3.0 Wild + Team Agentur – UNI Salzburg WC

Oggi quando si parla di premio Nobel per la letteratura – e non per quello in materie scientifiche e quello della pace e dell’economia – montano le polemiche sia per la persona del destinatario spesso per la materia del contendere. Rara è però la sensazione di ignoranza. Per esempio, tutti conoscono il premio Nobel Peter Handke, scrittore austriaco di lingua tedesca, vincitore per la letteratura del 2019, vuoi per le originali opere che lo hanno visto contestare, o da profeta, o da esagerato autore in soggettiva dal 1966 ad oggi; vuoi per la sua arrogante difesa per l’attaccabilissimo Slobodan Milošević, lo stragista serbo degli anni ‘90. Ma nessuno, salvo qualche studioso che proprio per caso abbia letto qualche riga su di lui nel manuale di filosofia più diffuso- quello di Nicola Abbagnano, per intenderci – conosce Rudolf Eucken, classe 1846, tedesco frisone, professore a Jena fino al 1926, premiato a Oslo nel 1908. Qualcun altro però, magari uno storico dell’economia contemporanea, ricorda il cognome Eucken e sicuramente del nome Walter, guarda caso nato a Jena, fondatore del sistema economico detto “ordo-liberalismo”, la cui esecuzione politica ebbe nel secondo dopoguerra in Germania due fervidi seguaci, il democristiano Konrad Adenauer e il liberale Ludwig Erhard, padri dell’attuale Germania “europea”, ben lontana dall’Europa “tedesca”, tanto per citare l’ultimo Thomas Mann.

Rudolf Eucken

Rudolf Eucken

In verità furono padre e figlio, senza dubbio col secondo ben più famoso, solo perché l’ordinamento economico della Unione Europea molto deve al suo pensiero. Si dice che il padre Rudolf non fu tanto un filosofo, quanto un divulgatore di un sentimento di profonda reazione al positivismo, imperante nell’Europa successiva all’unica guerra continentale dell’800 dopo la fine di Napoleone I, quella fra la Francia di Napoleone III e la Prussia di Bismarck, fra il 1870 e il 1871 e che dopo più di un trentennio culminerà nel disastro della 1° guerra mondiale. Lungo questa lunga fase culturale e sociale, una ideologia sembrò avere una significativa prevalenza culturale, la concezione scientista e realista, materialista e liberista, dove la corporalità divenne l’anima della filosofia. Le scoperte scientifiche e sanitarie mettevano fine alle epidemie; le democrazie liberali prevalevano nei Paesi occidentali: il Capitale prosperava: l’energia elettrica consentiva spostamenti inusitati; il deismo razionale e la concreta operatività di ogni volere era la regola. In sintesi, per dire con uno dei campioni della scuola positiva, Hebert Spencer, se una cosa è possibile, allora è automaticamente lecita moralmente. La forza motrice del mondo veniva vista nella evoluzione, che raggiungeva un picco per poi dissolversi e ricrearsi, in un processo infinito materialmente visibile e riproducibile con i nuovi mezzi tecnici forniti dall’industria ormai di massa. Ma un oscuro docente di Jena, appunto Eucken, di fronte alla sbigottita classe intellettuale legata alla concezione cartesiana della irriducibilità della sostanza pensante non poteva tacere. Tutta la scuola dell’essere spirituale, fulcro della filosofia da Platone ad Agostino, a Tommaso, fino al pensiero organico di Spinoza, e poi Kant e Hegel, vale a dire tutta la storia della Filosofia, non poteva essere un semplice soffio di brezza, di fronte al vento impetuoso della scienza e della tecnica. Rudolf Eucken, dopo anni di ricerche in un’area della Germania già famosa per la passata presenza di un padre dell’idealismo qual era il Fichte – un romantico che aveva già galvanizzato il nazionalismo tedesco di inizio ‘800 – scrisse un libretto nel 1907, “Le linee fondamentali di un nuovo stile di vita”, che suscitò un entusiasmo travolgente nei Paesi scandinavi. L’Accademia reale di Stoccolma preferì proprio l’oscuro Eucken, che aveva riscoperto lo spirito creativo dell’uomo e che reagiva al falso senso di sicurezza materiale che il liberismo e il marxismo propagandavano negando esplicitamente lo spirito umano. Diceva piuttosto la motivazione del premio: “Per la sua formidabile ricerca della verità, motivata da una profonda analisi di pensiero e da una elevata visione della vita”. La risonanza in Germania stupì il materialista Haeckel, suo collega a Jena, che tuonò, in modo superficiale e in difesa dell’evoluzionismo da darwinista qual era, come Eucken fosse “un predicatore e propagandista di Kant”; che era magari “un eccellente scrittore, ma che di Filosofia non aveva detto nulla di nuovo…”. Un premio che era stato “sopravvalutato e nella specie immeritato”.

Adriano Olivetti 1954 autore sconosciuto WC

Adriano Olivetti 1954 autore sconosciuto WC

Ma cosa lo rendeva popolare da Stoccolma a Vienna? Semplicemente perché abbinava la libertà dello spirito alla guida del corpo e perché mirava a una morale di vita attiva. Era cioè un grandissimo oppositore dell’astrattezza dei valori, che invece cercava e ritrovava nella vita quotidiana, scegliendo e vivendo il lavoro e la cultura con l’idea di valore pratico, quasi un antesignano della filosofia dei valori di Scheler, esistenzialista e suo validissimo studente, mentre di Gentile fu un precursore per l’ottimismo attivo della volontà. Stigmatizzò la vorace cultura industrialista che nella tecnica donò alle masse la nuova religione e che vide proprio nel nostro Adriano Olivetti e in Rudolf Steiner nel Dopoguerra magnifici epigoni.

Forse la forte simpatia che il popolo gli tributò nel Nord Europa negli anni antecedenti la Grande Guerra, fu offuscata da una malcelata crescente antipatia causata dalla pubblicazione di uno degli ultimi suoi libretti, “Uomo e mondo”(1918). Qui, Eucken considerò la guerra una contingenza transeunte, intesa cioè come un evento secondario, quasi un dettaglio per un mondo ormai considerato figlio del Satana materialista, diviso dagli eccessi dell’individualismo liberista e dal collettivismo di massa che annullava l’anima individuale. Non che Eucken fosse un idealista: anche nel fare vedeva l’idea fattasi cosa per volontà dell’uomo. “Hora et labora” avrebbe detto un tomista, anche se però respingeva il credo cattolico che considerava ingabbiato dalla morale gesuita. Proprio nel 1918, la Germania sconfitta e umiliata mandò Eucken in soffitta e aprì le braccia alle letture melanconiche di uno Spengler, che certamente aveva raccolto le idee spirituali del filosofo frisone, ma per proiettarle in un futuro reazionario, nazionalista e razzista, ravvisando nel tramonto dell’Occidente la base di una rinascita millenaristica che nulla aveva di pacifico, quanto piuttosto una rivalsa vendicativa di quella cultura materialistica francese, che Eucken voleva solo correggere, mentre Spengler desiderava accelerare nella sua presunta decadenza verso quel mondo degli eroi biondi e di occhi azzurri stranamente ammirati dai borghesi materialisti tanto avversati. Il fallimento dolorosissimo dell’ideologia spengleriana, ratificato dalla barbaria nazista, fece risorgere in Occidente, negli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, una terza via: la scuola ordo-liberista di Friburgo in Germania e il Codice di Camaldoli in Italia, tutti progettati a ridosso del secondo conflitto mondiale, che ci hanno consentito un lungo periodo di pace, libertà e progresso civile in Europa per tre quarti di secolo.

Adenauer e Erhard © Bundesarkiv F004214-0033 © CC-BY-SA-3.0

Adenauer e Erhard © Bundesarkiv F004214-0033 © CC-BY-SA-3.0

Campione di questa nuova ideologia politica ed economica non poteva essere che il figlio di Rudolf Eucken, Wilhelm. Questi con il suo pensiero influenzò la politica di Adenauer, Schumann e De Gasperi, i tre politici che hanno prodotto un’idea di Europa, fra Italia, Francia e Germania, progetto oggi purtroppo all’orlo del dimenticatoio.

Fu professore a Friburgo, poi docente a Bonn e infine segretario economico del liberale Erhard nel governo federale della Germania Ovest, guidato da Adenauer, fino al 1950, anno della morte prematura di questo economista. Il suo pensiero economico partiva dal mitico libero mercato di Smith e Ricardo, l’anima del sistema economico moderno. Ma che si incarnò successivamente nel materialismo economico, cioè la legge del più forte, contro la quale una società civile è tale solo se si pone ad impedire forme di mercato monopolistiche, preludio di forme di governo assolutiste e tiranniche. Piuttosto, Eucken e i suoi seguaci invocavano una Costituzione posta a garanzia delle libertà sociali e dei diritti civili, la cui promozione è il limite formale dell’anarchia economica e soprattutto di quelle forme monopolistiche, invocate dalle classi dominanti per la tutela dei loro profitti. Come il corpo va regolato da una morale ferrea legata allo Spirito; così il “libero mercato” va governato dalla politica e da una Costituzione che fissi obiettivi e procedimenti rivolti a favore del Bene Comune, anticamera dello Stato democratico.

Disoccupato tedesco-nel 1949 © Bundesarkiv 183-R77582 © CC-BY-SA-3.0.

Disoccupato tedesco-nel 1949 © Bundesarkiv 183-R77582 © CC-BY-SA-3.0.

Nel 1945, Eucken e i suoi seguaci della scuola di Friburgo – primo fra tutti il giurista Franz Böhm, padre della Costituzione federale tedesca del 1949 – dettò la formula della nuova Germania democratica, dove veniva codificata la reazione al centralismo statale, il rigetto del Comunismo e del Nazismo, che avevano in comune forme di mercato accentratrici e antidemocratiche. Sistema giuridico che dal 1949 (anno della Costituzione di Bonn) sarà conosciuto come quello dell’economia sociale di mercato, dove la libertà di iniziativa economica privata, senza il rischio di monopoli e cartelli, convive con lo Stato sociale, organizzato in Länder e dotato di vari poteri di controlli negli eccessi individualistici del mercato. In tale modello di governo, lo Stato diveniva fornitore di incentivi (mutui, ecc.) e di sanzioni, ma si dotava di una leva fiscale progressiva, fino a garantire la sanità pubblica e le pensioni ai lavoratori, peraltro chiamati alla partecipazione nella gestione delle imprese e delle grandi scelte di politica industriale. Era una visione olistica e partecipativa, alternativa della tradizionale concezione positivista del conflitto fra classi, con un liberalismo moderato e pluralista. Si disse subito che si trattava di una terza via, né liberale né socialista, quanto e piuttosto progressista e di mediazione fra le classi sociali. L’economia vista quindi come un elemento materiale in un contesto di valori rivolti alla tutela dei diritti fondamentali e alla difesa dei valori di civile convivenza. Un confronto fra opposti canoni economici e morali, smussati nelle loro angolazioni estremiste, che troveranno sede all’art. 15 della Costituzione di Bonn del 1949 e che pure la Costituzione italiana all’art. 41 del 1948 aveva del pari proclamato.

© il Deutsch-Italia

© il Deutsch-Italia

Un gruppo di giovani professori italiani e tedeschi quindi gettarono le basi sociali dei loro Paesi, nonché a fine anni ‘50 costruirono il mito dell’Europa unita. Mito che è durato fino al marzo del 2020, quando lo sciame sismico del Coronavirus sembra avere collassato quel loro magnifico lavoro, oscurando la loro ormai utopica scelta. Sogni di un padre e di un figlio per un mondo diverso? Oppure crisi di crescita e di nuove responsabilità delle classi dirigenti europee?

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