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Vacanze al caffè

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Il Caffè Greco a Roma © il Deutsch-Italia
Il Caffè Greco a Roma © il Deutsch-Italia
L'Hamburger Bahnhof a Berlino © il Deutsch-Italia

L’Hamburger Bahnhof a Berlino © il Deutsch-Italia

Durante la chiusura per il Coronavirus, forse quel più mi è mancato sono stati i caffè. Non per bere un cappuccino, ma per andarci a leggere i giornali. A Berlino è possibile, a Roma molto meno, a parte due locali dove mi conoscono e mi tollerano. Non gradiscono che si occupi un tavolino troppo a lungo. I tedeschi li chiamano “caffè all’italiana”, con tavolini all’aperto dove restare quanto ti pare, ma si trovano soprattutto in Germania, da Monaco ad Amburgo, o in Austria. E la pandemia rischia di farne strage. Si sono chiusi almeno 50mila locali, compresi ristoranti e osterie, e molti non riapriranno. A Berlino non riapre il caffè viennese di Sarah Wiener, al museo dell’Hamburger Bahnhof. Eppure Sarah è famosa come da noi un Vissani, ed è deputata europea per i Verdi austriaci.
Il suo collega, il cuoco televisivo Tim Mälzer, è scoppiato in lacrime in diretta, e ha giustamente ricordato che “è una grave perdita culturale…”, ma la crisi era già cominciata da tempo, prima dell’epidemia. Come immaginare un’Europa senza caffè? Sono una testimonianza storica, troppo fragile da preservare e difendere, se si fanno solo conti economici.

Babington's a Roma © il Deutsch-Italia

Babington’s a Roma © il Deutsch-Italia

Vienna è la città degli storici caffè, dove gustare una Sachertorte con un pizzico di nostalgia. Gli austriaci hanno trasformato il passato in un richiamo turistico, a volte fatto quasi di niente, gli ingredienti sono delicati, difficili da definire e facili da distruggere. A Roma sopravvive il Caffè Greco, minacciato di chiusura, e il Babington’s. Caffè storici si trovano a Milano e più numerosi a Torino, e ovviamente a Trieste. Chiuso a Palermo il caffè dove Tomasi di Lampedusa scrisse molte pagine del “Gattopardo”.

Il vecchio caffè Adler oggi Einstein © il Deutsch-Italia

Il vecchio caffè Adler oggi Einstein © il Deutsch-Italia

Vicino al Checkpoint Charlie, l’unico punto di passaggio del “Muro” riservato agli stranieri, andando da Ovest a Est, sulla sinistra, il Caffè Adler offriva un rifugio privilegiato. Dalle ampie finestre, seduti su una poltroncina verde, davanti a una tazza di caffè, gustando un Würstel o una Tomatensuppe, una zuppa di pomodoro in una scodella di maiolica, si osservava la storia. All’Adler si davano appuntamento gli agenti segreti con i loro informatori, i diplomatici delle quattro potenze occupanti, i giornalisti e qualche turista. Un locale altmodisch con le vecchie poltroncine, i tavolini di marmo, non molto grande, 120 metri quadrati non di più.
Il palazzo al numero 206 della Friedrichstrasse, risale a prima della Rivoluzione francese, è sopravvissuto all’arrivo di Napoleone, alla Grande guerra, a Hitler, alle bombe della Seconda Guerra che hanno polverizzato il quartiere intorno.
Nel 1822 vi fu aperta una farmacia. l'”Apotheke zum weissen Adler”, all’aquila bianca. Nel ’45, l’ultima farmacista, Rosa Lipinski, nascose in cantina diverse ragazze per sottrarle alle violenze dei soldati dell’Armata Rossa. Morì nel 1970 e, come al solito, il Senato di Berlino avrebbe voluto abbattere il palazzo in cattive condizioni, ma si opposero gli americani. Nel ’78 venne aperto il Caffè. Ha resistito fino al giugno del 2008. Ora ospita una filiale del Café Einstein. Ma non è più la stessa cosa.

Il Berliner Ensamble di B. Brecht © il Deutsch-Italia

Il Berliner Ensamble di B. Brecht © il Deutsch-Italia

Non è proprio un caffè, anche se vi servono espressi e cappuccini, la mensa del Berliner Ensemble, il teatro di Bertold Brecht. Potete sedervi allo stesso tavolo con gli attori truccati per andare in scena. Come è giusto, loro pagano prezzi ridotti. La mensa è quella che appare nel film “Le vite degli altri”.
Sulla Kurfürstendamm, all’Ovest, lo storico Kanzler, sempre esaurito al tempo del “Muro”, è rimasto vittima della speculazione edilizia. Lungo lo stesso viale, il caffè all’aperto dell’Hotel Kempinski, ricordato da Günter Grass nel romanzo “Anestesia locale”, è stato completamente trasformato. Quasi di fronte, nel palazzo all’angolo con la Fasanenstrasse, ha vissuto per qualche tempo Musil e vi ha scritto diverse pagine dell'”Uomo senza qualità”. Adesso vi hanno aperto, un grande negozio d’abbigliamento, più avanti trovate la Literaturhaus con un caffè e un ristorante. Non è un locale storico, ma si trova in una affascinante palazzina sopravvissuta alla guerra. L’atmosfera è quella dei tempi della Repubblica di Weimar.
Qualche locale sopravvive a Monaco, a parte le birrerie. A Schwabing, che era il quartiere degli artisti, allo Schelling Salon, nella Schellingstrasse al numero 3, andava a complottare e a giocare a biliardo il giovane e sconosciuto Hitler. E da vegetariano pranzava con spaghetti al pomodoro all’Osteria Italiana, al numero 62, il primo nostro ristorante in Germania, aperto nel 1890. Ci andava anche Franz Josef Strauss. Gli spaghetti sono sopra le ideologie.
Un altro locale da visitare è il Café Altschwabing, che risale al 1887, sempre nella Schellingstrasse al numero 56. Ci andava Thomas Mann, e artisti come Franz Marc, Kandinsky e Paul Klee. L’atmosfera è stata preservata anche se sul menu si trovano specialità turche con olive e formaggio di capra. Ma ci veniva il poeta Nazim Hikmet. In Italia costa caro sedersi a un tavolino, il prezzo di un espresso al bancone, si moltiplica per cinque, anche per dieci in un posto turistico. Forse prima o poi aggiungeranno un extra “nostalgia”, o “lettura”, per chi si ferma troppo a lungo.

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Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. In Germania è uscito "Guida per amare i tedeschi", "Anleitung die Deutschen zu lieben" (Argon e Goldmann), "Complotto Reale" (Bertelsmann), "In difesa delle donne rosse" (Argon), "Hundert Zeilen", "Berlin liegt am Mittelmeer" (Avinus Verlag), "Pfiff", romanzo sulla Torino degli Anni Sessanta e la rivolta operaia di Piazza Statuto; "Attraverso la Francia, per non dimenticare il Belgio"; "Lebst du bei den Bösen?", "vivi tra i cattivi, la Germania spiegata a mia nipote"; e recentemente "Il Muro di Berlino. 1961-1989".

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