Che bambola regalare a una bambina? Una biondissima Barbie o una di colore con i capelli ricci? Lo chiede la lettrice Katja H. alla Süddeutsche Zeitung. I tedeschi si preoccupano sempre di non essere perfetti, e di questi tempi il politically correct li ossessiona. Non faccio dell’ironia. Nonostante quanto si crede in Italia, non cercano affatto di dimenticare il passato che per loro sembra non passare mai. E nelle scuole elementari i maestri parlano del nazismo. A casa, i genitori forse. I giovani del ‘68 sono ormai nonni, e loro certamente ne parlano con i nipotini.
Il Magazin del quotidiano di Monaco aveva una rubrica di cui ho già parlato, Die Gewissensfrage, un problema di coscienza, tenuta dal Doktor Doktor Rainer Erlinger, ma il doppio dottore è andato in pensione dopo 15 anni. Era un ottimo osservatorio per sbirciare nell’anima tedesca. Il suo posto è stato preso dalla collega Johanna Adorjan e la rubrica si intitola Die gute Frage, una buona domanda.
Katja ha una bambina di tre anni e si chiede se per farla crescere antirazzista non sarebbe meglio regalarle “eine schwarze Puppe”, una bambola nera. Già un piccolo errore, la parola nera dovrebbe essere vietata. La lettrice nei manuali di pedagogia non ha trovato una risposta chiara: si consiglia di regalare bambole e bambolotti di diverse etnie, e di evitare regali sessisti. Sempre che un sesso esista. Qualcuno sospetta che si diventa maschi o femmine perché da piccoli ci hanno messo una bambola in mano. L’istinto materno non sarebbe innato.
Per quanto mi riguarda, non so. Dovrei avere un’identità confusa. Ero piccolo e c’era la guerra. Mia madre, la nonna e le zie per non farmi annoiare mi insegnarono a lavorare a maglia, non ero dotato, non imparai mai a scalare i punti, come si dice in gergo. Poi, mi costruii da solo giocattoli guerreschi, carri armati e fucili, e cominciai a giocare con i soldatini. Non ho mai sparato un colpo in vita mia, e ho fatto il militare per dieci giorni, prima di essere congedato perché avevo già una figlia. Raffaella giocava con Cicciobello, non ho dimenticato il nome.
Johanna, nata nel 1971, è bionda, figlia di esuli ungheresi, è nata a Stoccolma e cresciuta a Monaco da quando aveva quattro anni. È coraggiosa, va contro corrente e sfida il pensiero dominante. Loda Katja per la sua sensibilità, ma saggiamente non crede che si diventi razzisti per colpa di Barbie, dall’aspetto anoressico. E non si rischiano danni psicologici se le bambine giocano con bambole del loro colore, o con una Barbie dagli occhi azzurri, o con il Kopftuch, il velo islamico. C’è l’imbarazzo della scelta: per 49,99 euro, ho controllato, si compra una bambola nera, in abito da sera e gonna con lo spacco. C’è anche una Barbie con sedia a rotelle.
Johanna conclude con un saggio consiglio: perché Katja non va nel negozio di giocattoli e lascia scegliere alla figlioletta la bambola che le pare? Magari, aggiungo io, si comprerà un balocco da maschietto, sempre che esistano ancora.
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