Berlinale 2020Cinema

Un anno inseguendo i propri sogni

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My Salinger year © micro-scope
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My Salinger year © micro-scope

My Salinger year © micro-scope

Si sono aperte le danze: è partita ieri la 70esima edizione della Berlinale, il terzo Festival del Cinema più importante d’Europa (assieme a Venezia e Cannes). Quest’anno la nuova direzione artistica dell’italiano Carlo Chartrian ha preferito iniziare con una pellicola fuori concorso (Berlinale Special Gala), “My Salinger year” (Un anno con Salinger) del regista e sceneggiatore canadese Philippe Falardeau, che aveva ottenuto l’Orso di cristallo nella Berlinale del 2009 per “C’est pas moi, je le jure!”.

Sigourney Weaver durante la serata di apertura © Berlinale

Sigourney Weaver durante la serata di apertura © Berlinale

Splendide le protagoniste del film, una storia accentrata attorno alla figura dello scrittore statunitense Jerome David Salinger che prende le mosse a partire dalle memorie della giornalista, scrittrice e poetessa Joanna Rakoff, personaggio interpretato dalla brava 25enne Sarah Margaret Qualley (figlia di Andie MacDowell), coadiuvata da un’icona del Cinema come Sigourney Weaver (nelle vesti dell’agente letterario Margaret). In realtà la figura del celebre scrittore statunitense rimane sullo sfondo di una storia le cui vere protagoniste sono le donne, in un’ambiente, quello letterario della New York del 1995, che come ha avuto a dire la stessa Weaver “è un mondo in via d’estinzione”.

La storia
Margaret Qualley © CC BY-SA 4.0 Pietro Luca Cassarino

Margaret Qualley © CC BY-SA 4.0 Pietro Luca Cassarino

Johanna, giovane che lascia l’Università per approdare a New York seguendo i suoi sogni di giovane scrittrice, trova lavoro come “assistente” in un’agenzia letteraria dallo stile “old fashion” la cui maggiore attività è quella di curare la corrispondenza che arrivava copiosa da tutto il Paese allo scrittore J. D. Salinger. Il compito della ragazza, che non aveva mai letto un libro del romanziere considerato un’icona per molti giovani a seguito della pubblicazione di The Catcher in the Rye (Il giovane Holden, in italiano), era appunto quello di rispondere ai fan che si confidavano nelle missive, dando loro delle risposte standardizzate e generiche. In realtà la cosa durerà poco perché l’assistente appassionata (I’m passionate, confessa) inizierà a rispondere in modo personalistico alle lettere, dando così il via ad una serie di episodi con risvolti divertenti e imbarazzanti con gli autori delle stesse. Sullo sfondo, come si diceva, la figura del romanziere che stava per pubblicare, dopo un lungo periodo di apparente inattività, un altro romanzo. Johanna non lo vedrà che alla fine del film, venuto a trovare Margaret in ufficio per concordare le modalità di pubblicazione di Hapworth 16, 1924 (che non vide mai le stampe in realtà), ma nel frattempo avrà iniziato a leggere le sue opere, entrando così a far parte a pieno titolo del gruppo dei giovani entusiasti del suo modo di descrivere il loro mondo dell’America di quegli anni.

Margaret Qualley e Douglas Booth © Berlinale

Margaret Qualley e Douglas Booth © Berlinale

Un ritratto dolce e nostalgico le cui protagoniste sono le donne, non solo nella storia portata sullo schermo, ma anche nella sua stessa realizzazione, come ha sottolineato la stessa Johanna Rakoff (che del film è anche produttrice esecutiva): il montaggio è infatti opera di Mary Finlay, la scenografia di Élise de Blois e la direzione della fotografia è di Sara Mishara. E Poco importa se il film non è stato girato nella New York di Salinger, ma a Montreal, e se il mondo rappresentato, in fondo, era in parte quello contro cui lo scrittore si scagliava. In definitiva per seguire i propri sogni si può vivere ovunque e si può anche un po’ fingere per raccontarlo.

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Nato a Roma, laureato in Filosofia all'Università "la Sapienza", è giornalista professionista. Ha collaborato con ilSole24Ore, con le agenzie stampa Orao News e Nova, e in Germania con il magazine online ilMitte.

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