Se è vero il proverbio in vino veritas, osservate i tedeschi quando alzano il gomito. Un inglese ubriaco s’incupisce, un russo viene preso da allegria distruttiva, l’americano diventa violento, i tedeschi si trasformano: caciaroni e compagnoni, chiassosi e fanciulloni, sentimentali e romantici, cantano in coro canzoni d’amore. La sola aria italiana ottiene su molti di loro l’effetto di un fiasco di Chianti: appena varcata la frontiera, si sbracano, in calzoncini corti esibiscono polpacci villosi e pance prorompenti, vagano rilassati e paciosi, o si scatenano con urla e risate, correndo sulle autostrade e scorrazzando in gommone sulle acque. Gli italiani se ne risentono e trovano che il loro comportamento sia poco rispettoso, come turisti in viaggio per una colonia comprata con i Deutsche Mark. Ed i tedeschi si sorprendono per questa reazione. Non comprendono: loro tentano solo di essere come noi, come si immaginano che noi siamo.
Fuori dalla Germania non sono più costretti a fingere di essere typisch deutsch. Toglietegli le loro camicie a quadri dalle maniche corte, i loro calzoncini al ginocchio, di cuoio o no, e troverete uno scugnizzo napoletano. Ma osservateli quando tentano di imitare l’italian way of life: lo fanno sempre con una sorta di senso di colpa, un «vorrei e non vorrei», come tante Zerline sedotte da Don Giovanni, vogliose ma incapaci di abbandonarsi completamente al piacere. È una parentesi, una vacanza appunto, da se stessi. Pensano già a quando dovranno tornare alla finzione di casa.
Non è un caso, infatti, che i tedeschi siano l’unico popolo al mondo che creda ancora al Carnevale, come i bambini che si ostinano a prestare fede a Gesù Bambino o a Santa Klaus. Per i veneziani o i viareggini il Carnevale è solo una scusa turistica per far soldi anche d’inverno. Per i tedeschi no: il Carnevale è un rito assolutamente serio. Chi vuol far carriera politica da noi diventa presidente d’una squadra di calcio; in Germania diventa principe del Carnevale, carica niente affatto onorifica: deve sborsare un sacco di quattrini. E i politici in carica si assoggettano compatti alle usanze dei loro elettori, sgambettano con fanciullone bionde in un patetico can-can o marciano tra gladiatori e guardie napoleoniche.
Non in tutta la Germania: in quella meridionale e lungo il Reno, nelle zone cioè più prossime a vicini latini e tentatori. La licenza programmata «a casa» è l’intervallo vitale per non impazzire realmente. E anche l’Oktoberfest di Monaco è una sorta di carnevale senza maschere, anzi senza vestiti, perché la birra consente l’alibi di togliersi abitudini e calzoni, e lasciarsi andare. Non un minuto prima e non un istante dopo. E una libera uscita senza controllori.
Invece al week-end, nelle osterie o al ristorante, siete circondati da tavoli in cui si continua a parlare a voce alta e a sghignazzare. E una via di mezzo: si è liberi ma non del tutto, come tradiscono le risate dei commensali, troppo alte, troppo acute, con un che di isterico. Il riso passa da tavolo a tavolo, come un’onda di risacca, sale e si ritira, si spegne in un silenzio che sta tra la sorpresa e l’imbarazzo, per poi riprendere puntuale, costante, ossessionante. È la risata di adolescenti impegnati in un gioco proibito. Non peccano: fingono di peccare, come durante il resto della settimana, per il resto della loro vita, recitano la parte del tedesco tutto d’un pezzo.
Commenti