Guida per amare i tedeschi

Al cabaret, con Marlene

0

 La politica
DUE, ANZI TRE, FORSE QUATTRO

Seguii il presidente Sandro Pertini nel suo primo viaggio all’estero. Da ex partigiano, con un fratello morto nel campo di Flossenburg, aveva scelto proprio la Germania, si stupirono molti italiani. Lui, evidentemente, i tedeschi li conosceva bene, e non aveva alcuna coda di paglia da occultare con dichiarazioni astiose e sospetti contro la Repubblica Federale.

Nell’aereo da Roma a Colonia, un collega tedesco passava afflitto di fila in fila pretendendo di farci ascoltare un nastro registrato. Nell’intervista prima della partenza, Pertini gli aveva dichiarato che «la clausola del 5 per cento che esclude i partiti minori dal Bundestag doveva venire adottata anche in Italia». Alla rivolta dei nostri liberali, socialdemocratici, radicali che ne sarebbero stati condan­nati a morte, con nonchalance aveva smentito.

«Eppure l’ho registrato», ripeteva il malcapitato in cerca di solidarietà. Pertini conquistò i tedeschi. Visitò Flossenburg sottobraccio a Franz Josef Strauss, sotto la pioggia, strana coppia, lui minuto e l’altro straripante. A Berlino, innanzi alla Porta di Brandeburgo, fu l’unico a competere con il ricordo della storica frase di John Kennedy. Era stato Schlesinger a escogitarla per il suo presidente e gliela scrisse su un foglietto «all’inglese», dato che Kennedy ignorava il tedesco: Eak bean ì-n bar-lee-ner, cioè Ich bin ein Berliner. Pertini dichiarò: «Se la mia Genova fosse divisa da un muro mi batterei fino alla morte per la riunificazione», cosa che Kennedy non si sarebbe potuto permettere senza veder accorrere i Panzer dell’Armata Rossa giù per l’Unter den Linden.

Poi vide un uccello, credo fosse una cornacchia, che volava da Est a Ovest, e aggiunse: «Lui sì che può, agli uomini sparano addosso». E conquistò le prime pagine e il cuore dei tedeschi. A Monaco la conferenza finale si tenne al Vierjahreszeiten. Pertini si fermò sulla soglia e a voce alta commentò: «Questo è un hotel in cui bisogna venire con una donna». Si voltò verso l’allibito ministro degli Esteri e lo apostrofò: «Lei mi guarda dubbioso, signor ministro degli Esteri, ma io ce la faccio ancora, sa?». E diede inizio alla conferenza, ritornando sul tema del 5 per cento, che consente «ai tedeschi di avere solo due partiti». Lo scettico ministro degli Esteri con la mano gli segnalava disperato «tre, tre», e Pertini continuava a esaltare «i due partiti», finché stufo si arrese: «Ho capito, signor ministro degli Esteri, ma due sono più importanti del terzo». Si era ormai alla fine del viaggio e anche i colleghi tedeschi avevano imparato a «dimenticare» le gaffes e i capricci del nostro presidente, caratteraccio tutto cuore.

I due più importanti sono i socialdemocratici, l’SPD, e l’unione cristianodemocratica, la CDU/CSU. Il terzo, che «conta di meno», è il piccolo FDP, i liberali, che saranno i più piccoli, ma da sempre sono stati indispensabili per formare la maggioranza, e passano dall’alleato «rosso» a quello conservatore, secondo dove tira il vento elettorale, ma non sempre spinti dall’opportunismo. Il partito ha una doppia anima, conservatore in economia, progressista invece in campo sociale, ed aperto in politica estera. Contrario alle tasse patrimoniali, ad esempio, e favorevole all’aborto, il che complica gli accordi con l’uno e l’altro dei possibili partner. E a volte i liberali anche per le tasse vanno più d’accordo con i pragmatici socialisti che con i cristianodemocratici, per i quali il termine «cristiano» non è sempre un aggettivo per carpire voti, e in nome della «solidarietà umana» a volte si lasciano tentare da misure di assistenza sociale pericolose per le finanze dello Stato.

I liberali non sono quelli di Malagodi, o lo erano in parte, e tanto meno sono vicini al nostalgico austriaco Haider, laudatore del «bel tempo della svastica». Per pigrizia o per distrazione, mi capita di scrivere «socialista» invece che «socialdemocratico», e una volta un lettore mi scrisse una lettera risentita. Come se Willy Brandt avesse mai potuto militare nelle file del nostro cosiddetto partito socialdemocratico, gli risposi. Comunque, alla lettera, non avevo ragione.

Print Friendly, PDF & Email
jav xxx
tube
mm
Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. In Germania è uscito "Guida per amare i tedeschi", "Anleitung die Deutschen zu lieben" (Argon e Goldmann), "Complotto Reale" (Bertelsmann), "In difesa delle donne rosse" (Argon), "Hundert Zeilen", "Berlin liegt am Mittelmeer" (Avinus Verlag), "Pfiff", romanzo sulla Torino degli Anni Sessanta e la rivolta operaia di Piazza Statuto; "Attraverso la Francia, per non dimenticare il Belgio"; "Lebst du bei den Bösen?", "vivi tra i cattivi, la Germania spiegata a mia nipote"; e recentemente "Il Muro di Berlino. 1961-1989".

Profanazione della cultura

Articolo precedente

25 aprile 1945: una data da non dimenticare

Articolo successivo

Commenti

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *