Guida per amare i tedeschi

La Germania aveva gli occhi verdi

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La Germania aveva gli occhi verdi

IL CAMINO DI CHRISTA WOLF

Prima della riunificazione finii per caso in un LPG, le fattorie statali, dalle parti di Schwerin nel Mecklenburg. Il fattore, che sarebbe meglio chiamare direttore, mi invitò al suo Abendbrot, la cena fredda all’ora del tè, con una raffica di salami gustosi.

Mi parlò del suo diabete, delle preoccupazioni per il futuro: «Perché chiudere le fattorie dell’Est che in quella zona erano superiori a quelle dei vicini dell’Ovest, per le oscure e vessatorie misure di Bruxelles?», ed io notai in uno scaffale le opere complete di Christa Wolf, scrittrice dissidente del regime, e lui notò la mia sorpresa. _In quale masseria italiana trovate l’opera omnia di una Dacia Maraini? E quei libri inoltre erano vietati nella DDR. Glieli aveva regalati l’autrice in persona, mi spiegò. Christa Wolf era una sua vicina ed aveva descritto la vita in campagna nel Mecklenburg in una sua opera, ma non l’episodio che mi raccontò il padrone di casa, con un piacere sottile, suppongo.

Appena finita la sua casa, dal bel tetto tradizionale spiovente e in paglia, la scrittrice la volle inaugurare accendendo il camino, e per far prima usò dei fogli di giornale. Il tiraggio della canna li aspirò in cielo e la carta in fiamme finì sul tetto di paglia e lo distrusse.

«Gli intellettuali non si intendono di camini», concluse.

Allora Christa era ancora un mito, all’Est e all’Ovest, ma finita la DDR e la persecuzione del regime, il suo ruolo e il suo valore sono entrati in discussione, come quelli dei suoi colleghi all’Est.

Ricorderò sempre che la Wolf, all’ultimo congresso degli scrittori a Berlino Est, quando la caduta del «muro» era ancora evento da fantastoria, si limitò a inviare un vago telegramma dalla comoda Svizzera. Di recente è stato scoperto un suo flirt con la Stasi: in gioventù incontrò un paio di agenti, non rifiutò le loro proposte, senza fornire informazioni, stordendoli con chiacchiere inutili. Non fece la martire, e neppure tradì.

Heiner Müller, il drammaturgo più celebrato dell’Est, si difende: in ogni mensa a teatro c’era un agente della Stasi. Come evitare di parlare con loro? Ma ora i suoi rifacimenti da Brecht o da Shakespeare, in cui denuncia dittatura rossa e oppressione del capitale, interessano molto meno e vive, meglio, mettendo in scena tradizionali opere liriche.

Con l’apertura degli archivi della Stasi, si è scoperto che Prenzlauer Berg, il Greenwich Village di Berlino Est, dove il regime aveva confinato l’irrequietezza dei suoi intellettuali, un ghetto dove veniva loro permesso tutto o quasi, era invece un covo di collaboratori.

Uno scrittore è disposto a qualsiasi cosa pur di firmare. Anche un rapporto segreto. I loro dossier sono di una banalità assoluta, ma non è questo che importa. Ora per pubblicare devono convincere l’editore che qualcuno vorrà sborsare dei marchi per le loro opere, ed è più arduo che ottenere l’imprimatur da un censore.

Sempre a quel congresso dove Christa non si fece vedere, venni tormentato da un poeta. Viveva con uno Stipendium, una cifra minima per le spese essenziali, concessogli dallo Stato perché scrivesse versi, una via di mezzo tra borsa di studio e salario da cassa integrazione. «Ma ti rendi conto», si lamentava, «che se le mie poesie non piacciono al funzionario di partito non me lo rinnovano per il prossimo anno?».

«Scrivi un paio di sonetti per farlo contento, e poi le poesie che vuoi», gli consigliavo, e lui scuoteva la testa innanzi al mio cinismo da capitalista. Se ne andò con una scusa quando gli svelai che, da noi nel paradiso dell’Ovest, nessuno gli avrebbe mai pubblicato una raccolta, né tanto meno pagato affitto e osteria, in cambio di endecasillabi. Neanche se avesse vinto il Nobel.

Nell’incontrare intellettuali e artisti dell’Est provavo una sensazione strana, che non riuscivo a definire. Compresi a un tratto: avevano un’enorme disposizione di tempo. Loro giravano in tram ed io in auto, ma io ero e sono sempre senza tempo, per leggere quel che mi piace e non quel che devo, per scrivere quel che mi diverte, per andare a teatro o a un concerto. Non avrei mai scambiato la mia posizione con quella di un collega dell’Est, confesso, ma gli artisti al di là del «muro» non si rendevano conto di quella loro ricchezza.

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Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. In Germania è uscito "Guida per amare i tedeschi", "Anleitung die Deutschen zu lieben" (Argon e Goldmann), "Complotto Reale" (Bertelsmann), "In difesa delle donne rosse" (Argon), "Hundert Zeilen", "Berlin liegt am Mittelmeer" (Avinus Verlag), "Pfiff", romanzo sulla Torino degli Anni Sessanta e la rivolta operaia di Piazza Statuto; "Attraverso la Francia, per non dimenticare il Belgio"; "Lebst du bei den Bösen?", "vivi tra i cattivi, la Germania spiegata a mia nipote"; e recentemente "Il Muro di Berlino. 1961-1989".

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