COSA PENSANO DI LORO
A ogni corrispondente straniero che si accredita in Germania, il Bundespresseamt (Ufficio Federale per la Stampa) con gli auguri di buon lavoro regala (o regalava) un volumetto, Tatsachen über Deutschland («Realtà sulla Germania»). Io ne ho ricevute diverse edizioni. Nella prima, l’introduzione annunciava: «La Repubblica Federale è un Paese che ha sempre intrattenuto relazioni pacifiche con i suoi vicini». Poi non l’ho più trovata.
A qualcuno sarà suonata come una battuta paradossale, anche se non si può negare che la Bundesrepublik, nata dopo la guerra, nella sua vita di neanche mezzo secolo sia stata assolutamente pacifica. Ma nessun Paese in Europa ha frontiere così lunghe come la Germania riunificata, e nessun Paese al mondo ha così tanti vicini. Ed i tedeschi si mostrano da sempre estremamente preoccupati di che cosa si pensi di loro al di là del confine. «Oggi i tedeschi vogliono pensare al futuro, ma i loro vicini pensano al passato», è la sintesi fulminante di Fritz Stern.
In apparenza, anche noi italiani, sempre così ossessionati dalla «bella figura», stiamo attenti all’opinione che si ha di noi all’estero. Poi, per presunzione, ce ne infischiamo: siamo convinti di essere simpatici e irresistibili, e accettiamo le lodi per scontate, pronti ad accusare di prevenzione razzistica tutti quelli che ci criticano.
Gli «arroganti» tedeschi, al contrario, non fanno che riportare le opinioni di europei, americani, giapponesi, alla ricerca spasmodica e masochistica della conferma del giudizio sugli Hässlichen Deutschen («gli odiosi tedeschi»), pronti a meravigliarsi se il giudizio è positivo. Come? Non ci giudicano male? Come mai?
Con qualche sfumatura, le opinioni positive e negative concordano dal Volga alla Senna, dal golfo di Napoli a Westminster. I vicini e quelli che non lo sono, come filippini o brasiliani, restano assolutamente convinti che i «germanici» siano ottimi e assidui lavoratori e che il Made in Germany sia tecnicamente superiore. Qualità accompagnate dagli eterni difetti: la mania per la precisione, l’arroganza del primo della classe, la mancanza di elasticità, la parsimonia che sconfina nell’avarizia, e infine la prepotenza, la bellicosità, il militarismo, l’autoritarismo, il razzismo.
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